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Marché, je t’aime

San Benedetto del Tronto | Progetto di parole. Senza furbi disegni

di Piero Giorgio Camaioni


Sto deliberatamente dalla parte persa. Propongo (inutilmente) di non abbatterlo, il vecchio mercato della verdura di via Montebello, per poi – restaurandolo come dirò – farlo diventare splendido cuore pubblico della città. Né mi spreco ad allegare disegni, schizzi, immagini web, per non fare come quegli architetti che, coi loro mistificanti esplosi, truccano talmente bene certe miserie progettistiche, al punto che tutto pare bellissimo. Spiegherò a parole.

Chi capisce capisce. (Tanto è già deciso, lo buttano giù).

La motivazione-madre per l’abbattimento? La famigerata copertura in eternit pericolosa ed inquinante. Basterebbe una telefonata per assicurarsene la bonifica, invece giù drastici: se il tetto è marcio, non si aggiusta il tetto ma si butta tutta la casa!

Sentenziano nemici del mercato: il mercato non è più quello di una volta, i commerci del martedì e del venerdì li sfratteranno, che è ‘sta bruttura, sciò, facemece ‘na piazza.

Come quella schifosa di via Mentana? Come la Nardone , desertica e abbacinante? Come la Povericristi ex Matteotti? Come la Garibaldi che fa vomitare? Come certe di Porto d’Ascoli che ci andresti ad impiccarti? Come la S.Pio di Grottammare che puzza ancora di pini morti? Come la Kursaal dalle scarpe giganti di pietra e la fontana-degli-agguati-a-raso? (…)

Non sappiamo fare piazze. Pure la gloriosa “Compriamoci una piazza” si dissolse. Farci che, allora? Girano progetti e proposte da galera. Purtroppo quello spiazzo, funzionalmente, architettonicamente, socialmente è ormai diventato un non-luogo. Le auto (non-luogo mobile per definizione) che l’assediano se ne impossessano. Ma chi le ferma? Servono parcheggi (anche nella biennale di San Benedetto si disquisì di parcheggi-non-luoghi… ).

Destino incombe: quando di un posto l’identità si perde o la si uccide, quando si spegne lo spirito, quando si forza un utilizzo, quando si massacra uno stile, quando si estirpa un’abitudine, si provoca – urbanisticamente – un buco nero di indifferenza: un non-luogo. Qui c’è predisposizione:

spazio commerciale arruffato, cadente, poco vissuto, provvisoriamente moderno come il suo banale circondario. Quasi abbandonato: tubi gialli arrugginiti che fanno la guardia a trappole per topi. Pare tutto pronto per la violenza e la distruzione, non per la rinascita.

Perciò implorerei di non demolirlo, l’affettuoso simil-tunnel, secondo me perfino dignitoso nell’estetica rispetto alla paccottiglia edilizia di via Montebello, che più si ripulisce e peggio si concia. Una volta riportato all’essenza, lo definirei quasi bello: bianchi algidi rettangoli regolari arcati, con esile visiera-pensilina perimetrale. Partenoncino di paese, di piccola storia, senza stile, che tuttavia può oggi agganciare per la coda la similcultura che qui si va perdendo, fatta di socialità, di incontri, di confronti. Senza competizioni, senza mode, senza chiasso. Scansando, ma va’, i commerci.

Dettene già tali e tante da meritarmi la dosetta di polonio dai commercianti, passo al progetto-in-parole, per praticità scandito in 6 punti.

1. Riportare la struttura all’essenza, senza alcun orpello, senza eternit né infissi e annegarla di bianco-bianco. Da sembrare nuova.
2. Scavarne il pavimento, dentro il perimetro delle colonne, andando sotto quasi a tre metri(impermeabilizzando, si capisce).
3. All’interno del complesso in cemento armato realizzare in ferro, su tre livelli, una struttura modernissima indipendente dalla “vecchia”, neanche deve toccarla. Ma non per tutta la lunghezza: i primi 15 metri a nord si lascino liberi a tutt’altezza.

4. Ecco qui a nord un piccolo teatro, ripide gradinate a raggera in ferro, che partano in alto, oltre e fuori la pensilina, fin giù in buca tre metri sotto il livello strada. Mini-teatro modernissimo, ma dall’impianto quasi vitruviano, un misto tra il “cavo” del teatro romano e il “plein air” del greco.
5. Occupata longitudinalmente circa il 25% della struttura verso nord, l’altro 75% circa sarebbe – dicevo – a tre “ piani” (uno quasi tutto sotto terra, uno poco sopra il livello stradale, l’ultimo in quota a circa 4 metri ). Qui si svolgerebbero “attività” e “servizi”
6. La “pelle” esterna (l’ultima pazzia) : solo vetro, non specchiante, autoportante, su calcolatissimo reticolo di rotte diagonali che non tocchi mai niente dell’interno. Micro- Beaubourg incoperchiato di vetro. Per la totale trasparenza, da fuori si vede tutto: costole, nervi, muscoli in ferro colorato, con la contrastante ossatura bianca (il vecchio cemento armato) che però non sorregge niente. Naturalmente il formicolio di gente che – per una volta – non compra.

Oltre al “piccolo teatro”, nel Nuovo Mercato spererei si sviluppassero lavori/attività oggi relegati, negletti, dimenticati, assenti…

Penso a una mini-biblioteca alternativa, ad un caffettino letterario dolce come un apfelstrudel

(senza televisioni, dove si possa parlare con calma ) dove si respiri aria di flanerie, ad una piccola cantina (di sapore marinaro); ad un piccolo spazio expò per attività artistiche (ginnastica delle idee); ad uno spazio-musica con strumenti pronti per musicisti di passaggio; ad uno spazio “politico” dove allenare le nuove leve; ad uno spazio-disegno dove si insegni a tutti come usare una matita.

Uno spazio dove s’avvicinino anche gli stropicciati vecchietti sbattuti sulle panchine del lungomare: sentirli parlare, discutere, partecipare, litigare, criticare…

Uno spazio senza musei.

Finito.

Anche senza amarlo troppo, come stupidamente capita a me, non merita il nostro vecchio mercato una (nobile) seconde chance ?

09/12/2006





        
  



3+3=

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