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Tonino Armata: "Carissimi democratici … la Festa dell'Unità non è più quella di una volta ..."

San Benedetto del Tronto | In una lettera aperta, Tonino Armata – già presidente di quel che fu il Movimento Cittadino per il Partito Democratico – esprime il suo pensiero e la sua personale opinione su iniziative e prospettive del Partito Democratico (sambenedettese e non).

di Tonino Armata

Tonino Armata

Pubblichiamo integralmente, la lettera aperta a firma di Tonino Armata - già presidente di quel che fu il Movimento Cittadino per il Partito Democratico nonchè intellettuale attivamente partecipe alla vita ed al dibattito civico e politico cittadini - lettera nella quale, l'Armata, esprime in maniera articolata il suo pensiero e la sua personale opinione e riflessione, nel merito di iniziative e prospettive del Partito Democratico (sambenedettese e non). 

 

Carissime democratiche, carissimi democratici

Desidero esprimere il mio pensiero sulla Festa dell'Unità a San Benedetto del Tronto.

Non c'è più il partito di una volta. E neppure la festa di partito di una volta.

La Festa dell'Unità a San Benedetto dal 23 al 25 settembre, solleva interesse perché ha suscitato polemiche.

Com'è avvenuto nel mese di luglio, dopo che il Segretario Provinciale ha deciso di autocandidarsi pur essendo stato uno degli attori principale dello sfascio del nostro partito a San Benedetto.

Al di là di valutazioni sul merito, questa polemica fornisce un segno significativo, dei tempi che cambiano.

Perché, "La Festa dell'Unità" a San Benedetto ha sempre costituito un luogo aperto, anche ai cosiddetti diversamente schierati, negli anni degli scontri più duri.

Naturalmente, non bisogna attribuire un significato paradigmatico a un episodio specifico.

Ma la Festa dell'Unità, forse più di altri aspetti della realtà politica, spiegherà bene quanto sia cambiato il "Partito".

Ammesso che sia ancora possibile definirlo così. Perché il "Partito" di massa è scomparso 25 anni fa. Non per caso. Ma perché non aveva più senso. Il "senso", almeno, offerto dalla storia che lo aveva generato.

Da uomo di sinistra non comunista (mi sono cibato della pubblicistica di Giustizia e Libertà - Partito d'Azione, G. Salvemini, E. Rossi, P. Calamandrei, E. Lussu, F. Parri, U. La Malfa, ecc.) osservo che nell'Italia del dopoguerra, la politica era strutturata dalla frattura fra l'anticomunismo, impiantato sul muro di Berlino, e, sul versante opposto, l'anticlericalismo, l'antagonismo verso la Chiesa.

D'altra parte, uno slogan in occasione delle elezioni del 1948 recitava: "nel segreto dell'urna, solo Dio ti vede, Stalin no". Mentre un giovane veneto, in un questionario distribuito nei primi anni '50 (anche allora si facevano sondaggi...), accanto al marchio del Pci scriveva: "belve assetate di sangue. Con la falce ci taglieranno la testa e con il martello ci inchioderanno alla croce" (in Allum, Diamanti, ‘50/ ‘80: vent'anni. Due generazioni di giovani a confronto, pubblicato dalle Edizioni Lavoro nel 1986).

Quanto alla Dc, lo stesso giovane ne definiva i dirigenti "ladri". "Lontani dai poveri e da chi lavora". Opinione condivisa da molti altri, nell'inchiesta. Eppure, il loro sostegno andava proprio alla "Democrazia" (implicitamente: Cristiana).

Perché i "comunisti" erano servi della Russia. E nemici della Religione. Cioè, del mondo cattolico. Il sistema di servizi, associazioni, valori che sosteneva la società locale.

La Chiesa: il retroterra della Dc.

E il Pci, insieme alle associazioni sindacali e della sinistra, offriva un'alternativa.

Capace di evocare gli orizzonti di valore e di organizzare la realtà sociale.

Di indicare grandi destini, ma anche le routine quotidiane.

Per questo le Feste dell'Unità sono importanti.

Perché danno continuità a quella storia.

Quando la politica era inserita nella vita quotidiana. E contava nel momento del voto, nel rapporto con il governo nazionale, ma anche nella socialità e nel tempo libero.

Certo, da allora è cambiato tutto.

Più della politica oggi conta l'anti-politica.

Eppure anche un tempo l'antipolitica era diffusa.

Nei giudizi sui partiti espressi nell'inchiesta condotta negli anni '50, gli insulti si sprecano. I politici pensano tutti ai fatti e agli affari loro. Senza distinzione fra destra e sinistra. Anche perché allora esistevano solo comunisti e democristiani. La questione decisiva era il Contesto. La condivisione di un linguaggio, di un ambiente. Così eri e ti sentivi comunista oppure democristiano, meglio: anti-comunista, a seconda del luogo dove vivevi. E delle relazioni che intrattenevi.

Si tratta di cose note. A ripeterle si rischia di apparire nostalgici.

Anche se la nostalgia è utile, perché spinge a rivisitare il passato in modo selettivo. A isolare gli aspetti più interessanti.

Tuttavia, nel caso delle Feste dell'Unità mi pare che il problema vada oltre.

Perché si tratta di feste popolari ("di popolo") che riproducevano il legame della politica, ma anche dell'anti- politica, con la società.

Ma oggi "quel" legame sembra essersi spezzato.

Perché "quei" partiti non ci sono più.

Così, la Festa dell'Unità è divenuta un'altra cosa.

Non ne giudico, ovviamente, la qualità. Per rispetto della sua storia, almeno.

Tuttavia, il cambiamento di clima sociale intorno all'unica Festa di partito sopravvissuta, insieme al giornale a cui fa riferimento, permette, più di altri segni, di ragionare sulle difficoltà del "partito" che la ispira.

Oggi: il Pd. A differenza del Pci, non è un soggetto "unitario", come suggerisce la testata del suo storico giornale. L'Unità, appunto.

Riassume, invece, due "popoli" per molti anni alternativi. Comunisti e anticomunisti.

Post-comunisti e post-democristiani. Cioè, post-anticomunisti.

Oggi, peraltro, il Pd deve fare i conti con una nuova distinzione. Post-ideologica.

Perché al suo interno si è imposto il Pd voluto da Renzi.

Un soggetto, in parte, specifico. Distinto.

Ma stare insieme a fini strategici è una cosa. Camminare e discutere insieme, perché insieme si sta bene, è un'altra.

"Festeggiare", ascoltando pareri diversi su un referendum (fin troppo personalizzato dalle opposizioni), decisivo per il futuro della leadership e quindi del partito: è un'altra cosa ancora.

Per questo il Pd ha "senso". Futuro. Ma solo se riuscirà a trovare un equilibrio, anche instabile, con il Pd voluto da Renzi. E, viceversa.

Oggi, però, ha poco da festeggiare. Perché l'Unità, più che un giornale, per gli elettori e i militanti del Pd voluto da Renzi costituisce un (difficile) obiettivo da conquistare.

Con impegno e fatica. Ma anche per passione e "piacere".

Perché, altrimenti, restano solo gli interessi. E allora, a far politica: che gusto c'è?

Oggi nella nostra Città i peggiori nemici del Pd sono nel Pd e non è la stampa che qualche vota esagera o gli avversari politici che sull'affaire sanbenedettese ci hanno marciato.

Ho osservato con attenzione quanto è accaduto a San Benedetto dopo la sconfitta al secondo turno del candidato Sindaco Perazzoli, e che quelle vicende legate alle elezioni mi hanno portato a fare alcune riflessioni.

Mi domando spesso, se in questa Città sia realmente possibile entrare nel dibattito politico senza ricevere in risposta l'indifferenza o l'urlo da stadio.

E allora se si scende in campo e simpatizzi per un candidato/a: sei contro l'altro/a; se hai da fare qualche rilievo a qualcuno/a della vecchia guardia, sei renziano e cosi via.

Mi domando spesso perché in questa Città non si possa dire, liberamente, senza essere additati di essere incoerenti, che la responsabilità che ha il Pd è quella di aver spinto nel precipizio più profondo anche l'ultima briciola di fiducia che i sanbenedettesi ancora, gelosamente, conservavano nella politica.

In quella politica che pure era ed è popolata da una folta schiera di onesti che non fanno notizia, che partecipano a realtà dell'associazionismo o del cooperativismo senza che nessuno si occupi di loro.

La politica è prima di tutto patto di fiducia, non solo con il partito, ma con il progetto e poi con la persona.

Ecco, questo è il problema nella nostra città.

Non tutti spingono alla coesione. E quando il Segretario Provinciale deve decidere come risolvere il problema della coesione, con un comportamento a dir poco inopportuno, si autocandida a commissario e concentra nelle sue mani tutto il potere decisionale.

Questa scelta sbagliata di concentrare il potere politico in una sola persona (Segretario Provinciale e Commissario e ora anche Capo gruppo), sicuramente complicherà ancora in peggio la situazione, con l'allontanamento ancora maggiore degli iscritti e dei simpatizzanti.

Ora chiedo alle democratiche e ai democratici cosa pensate se un politico, ancora in carica, usasse la sua posizione come trampolino di lancio per fare il commissario con la complicità di un potente parlamentare?

A San Benedetto del Tronto è appena successo.

I politici esercitano un forte potere su i cittadini, e, tra i loro interessi, c'è anche quella di regolare e controllare il mercato politico locale.

Il risultato è che interessi opachi e di parte, senza trasparenza,condizionano le scelte politiche nella nostra città, influenzando, di fatto, la vita del partito.

Il votante del Pd, quando alle elezioni comunali ha messo la scheda nell'urna, esprimeva attese diverse rispetto al nuovo sindaco.

Non era una questione di meno peggio, o un po' meglio.

Il nodo era che si reclamava un sindaco radicalmente diverso da quello che lo aveva preceduto. Purtroppo non è andata così. E non è andata così perché le diatribe fra i cacicchi locali hanno affossato il candidato sindaco che i cittadini sanbenedettesi avevano scelto attraverso lo strumento delle primarie e hanno consegnato il governo della città alla destra. Il quale, ancora dopo mesi, deve presentare il programma di mandato da far votare al Consiglio Comunale.

Carissime e carissimi, i veri democratici non possono rimanere a guardare: devono lanciare una grande petizione cittadina per regolare i meccanismi delle revolving doors (porte girevoli).

Ciao a tutte e tutti

Tonino Armata

20/09/2016





        
  



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