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Riflessioni nel primo centenario della Grande Guerra(1914-2014)

Cupra Marittima | Uno studio del Professor Antonio De Signoribus che inserisce anche quanto un soldato delle nostre parti, scrive in una lettera ai familiari (fermata dalla censura).

di Antonio De Signoribus

trincea

Se ancora oggi si guarda dal basso la vita di molti popoli, cosa si vede se non miseria, o rassegnazione o lotta disperata tra poveri?
Se si pensa alla vertigine di quante guerre sono state fatte in nome di qualcosa e all'abisso delle vittime, si potrebbe dire ancora oggi, con Bertolt Brecht, che esse sono state nefaste, in massima parte, per la povera gente, sia tra gli sconfitti sia tra i vincitori.

A maggior ragione, questo sentimento di ingiustizia e di angoscia sale al pensiero di un tempo in cui al massacro venivano inviati non soldati volontari ma giovani, spesso giovani padri, tolti alle loro famiglie, messi in divisa, armati, e male armati e march! Verso un fronte lontano, comunque ostile, nel fango delle trincee. Contadini, operai, artigiani, soldati semplici, spesso analfabeti con una vaga o nulla idea di quanto andavano a fare: sparare ad altri come loro, uccidere solo per non essere uccisi.

Un soldato delle nostre parti, in una lettera ai familiari (fermata dalla censura), affermava:"Colle lagrime agli occhi a te vengo a comunicare tutte le nostre atroce sofferenze fin dai primi giorni che abbiamo raggiunto la fronte sempre in una continua dilequazione. Povera nostra gioventù!...che peccato abbiamo commesso? Che dobbiamo avere contro i nostri nemici? Mentre che loro non anno colpa come noi! Povera madre che perdono i loro figli!...Spesse volte ci guardiamo l'uno con l'altro in faccia vedendoci così lacerati di fame e di sonno le lagrime ci ricoprono gli occhi piangendo come bambini. Si...Pochi giorni addietro...abbiamo conguistato si tratta di pochi metri di terreno, ma tremo di scriverlo per la terribile carneficina che si ha potuto spargere. Poveri nostri fratelli parevano stritolati come se fossero carne di belve feroci, come possiamo avere il coraggio di andare avanti vedendo queste barbarie contro la nostra cara è amata gioventù!"

Quanto dolore si sia consumato nel secolo trascorso, è impossibile solo immaginarlo! Quanto se ne consumerà in questo da non molto iniziato, è impossibile immaginarlo! I secoli scorrono, inghiottendo ogni volta milioni di esseri umani che si aprono al mondo con occhi innocenti e fiduciosi e si ritrovano sotto duci, capi imperiosi, conquistatori, ma anche in finte democrazie nelle quali l'ambizione al potere e al benessere passa attraverso lo sfruttamento (manifesto e mascherato) di altre terre e popoli...

Ci sarebbe, retoricamente, da chiedersi: ma la storia insegna davvero qualcosa? Non si è piuttosto andata configurando come maestra di morte che non di vita? Allo scorrere degli elenchi dei nostri soldati partenti, delle loro lettere ai familiari, dei bollettini di morte, dei prigionieri di guerra dell'impero austro-ungarico ( e di altre condizioni umane dell'epoca)..., si prova uno sgomento quasi discreto, domestico. Nomi e volti riacquistano un senso nella fotografia della storia che impietosamente li ha dispersi e sepolti: ancora ci possono parlare, se vogliamo, più e meglio degli editti dei re e delle strategie dei generali..

E tutto questo abbia allora il valore di un nuovo inizio della coscienza storica, a partire dalla locale: che l'essere umano riacquisti la sua centralità che non lasci che altri pensino e decidano per lui, che più nessuno osi offendere la sua dignità, la sua laboriosa vita.

23/02/2014





        
  



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