Marco Mencoboni, musica tra passato e presente
| Amante dei più grandi organisti, va alla riscoperta delle melodie perse negli anni.
Maceratese di nascita, protagonista del panorama musicale internazionale: sono i tratti biografici fondamentali di Marco Mencoboni, classe 1961, clavicembalista e organista diplomato al conservatorio di Bologna nel 1985.
“Da bambino le mie mani erano già grandi e si muovevano veloci sulla tastiera, così all’esame di ammissione in conservatorio mi offrirono la possibilità di entrare nella classe di organo, mentre io volevo diventare pianista”. Mencoboni racconta così i suoi inizi nel mondo della musica, segnati da uno strumento legato indissolubilmente ai suoni antichi del passato, che entrano nella vita di un ragazzino di 14 anni per non lasciarlo più. La folgorazione avviene ascoltando il concerto di un vecchio musicista cieco, Ralph Kirkpatrick. Durante lo spettacolo la sala piomba nel buio a causa di un black out, che però non interrompe l’esecuzione di Kirkpatrick, i cui occhi, sempre chiusi, non si accorgono di nulla.
Il fluire di quei suoni perfetti nel buio colpiscono il giovane Mencoboni, che inizia ad ascoltare i più grandi organisti, come Tavaglini, Chapuis, Koopman, Leonhardt, Christensen. Alcuni di questi grandi musicisti lo seguono anche nel suo percorso formativo e lasciano tracce indelebili nella sua arte, che scava nel passato alla ricerca di musica persa nel tempo, di compositori sconosciuti per restituire al presente i loro suoni e favoleggiare intorno al loro mondo.
Per questo suo lavoro di ricerca e di valorizzazione della musica antica Mencoboni ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui quello del Metropolitan Museum di New York, che gli ha affidato un importante progetto di restituzione musicale.
Il lavoro pionieristico di Marco non si limita certo alla fase teorica, ma si esprime anche nella composizione e nella riproduzione della musica antica, come solista e come direttore del suo complesso, nei più importanti festival internazionali del genere. Al suo incessante lavoro si deve la riscoperta e la rivalutazione della pratica del “cantar lontano”, antica prassi vocale del XVII° secolo, realizzata disponendo i cantori distanti nello spazio e non visibili all’ascoltatore, all’imitazione di tanti cori.
“Da bambino le mie mani erano già grandi e si muovevano veloci sulla tastiera, così all’esame di ammissione in conservatorio mi offrirono la possibilità di entrare nella classe di organo, mentre io volevo diventare pianista”. Mencoboni racconta così i suoi inizi nel mondo della musica, segnati da uno strumento legato indissolubilmente ai suoni antichi del passato, che entrano nella vita di un ragazzino di 14 anni per non lasciarlo più. La folgorazione avviene ascoltando il concerto di un vecchio musicista cieco, Ralph Kirkpatrick. Durante lo spettacolo la sala piomba nel buio a causa di un black out, che però non interrompe l’esecuzione di Kirkpatrick, i cui occhi, sempre chiusi, non si accorgono di nulla.
Il fluire di quei suoni perfetti nel buio colpiscono il giovane Mencoboni, che inizia ad ascoltare i più grandi organisti, come Tavaglini, Chapuis, Koopman, Leonhardt, Christensen. Alcuni di questi grandi musicisti lo seguono anche nel suo percorso formativo e lasciano tracce indelebili nella sua arte, che scava nel passato alla ricerca di musica persa nel tempo, di compositori sconosciuti per restituire al presente i loro suoni e favoleggiare intorno al loro mondo.
Per questo suo lavoro di ricerca e di valorizzazione della musica antica Mencoboni ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui quello del Metropolitan Museum di New York, che gli ha affidato un importante progetto di restituzione musicale.
Il lavoro pionieristico di Marco non si limita certo alla fase teorica, ma si esprime anche nella composizione e nella riproduzione della musica antica, come solista e come direttore del suo complesso, nei più importanti festival internazionali del genere. Al suo incessante lavoro si deve la riscoperta e la rivalutazione della pratica del “cantar lontano”, antica prassi vocale del XVII° secolo, realizzata disponendo i cantori distanti nello spazio e non visibili all’ascoltatore, all’imitazione di tanti cori.
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11/12/2006
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