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Quel pasticciaccio della costituzione sfasciata

San Benedetto del Tronto | Dopo l’approvazione al Senato, esiste d’avvero il rischio, paventato da Romano Prodi, di una sorta di “dittatura della maggioranza”?

di Tonino Armata


A me questa storia della Costituzione non  fa dormire. Mi chiedo anche: la costituzione è stata maltrattata? Sinceramente, credo di sì!

Il 23 marzo, tanto tempo fa, era festa perché si celebrava la festa del fascio. Una coincidenza, certo. Lo stesso giorno il Senato approva la riforma costituzionale della Casa delle libertà. Il giudizio di Giulio Andreotti è severissimo: “Può essere un pericolo”. Nella condanna del senatore a vita, quel richiamo al regime non è isolato. “Celebriamo i sessant’anni dalla liberazione da una dittatura e nello stesso tempo ci presentiamo con questa concentrazione di poteri nelle mani di un uomo solo? E’ follia… possibile che non abbiamo imparato nulla?” Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e a suo tempo bestia nera del nascente berlusconismo nascente, liquida così la riforma istituzionale del Polo: “Mortifica” Parlamento e capo dello Stato e partorisce un premier “onnipotente”. “Ma onnipotenza e democrazia non possono coesistere”.

Molti pensano che della riforma della Costituzione, alla fine non se ne farà nulla. Il referendum la cancellerà. Nel mondo politico, della cultura e dell’informazione, per non parlare dell’opinione pubblica, c’è chi è fiducioso che il “limite” non sarà oltrepassato.

L’ingenua illusione può provocare disastri imponenti se non si affronta con realismo quel che è accaduto al Senato con l’approvazione della “Riforma dell’ordinamento della Repubblica”. Ha vinto una cultura politica, la quale crede, sia la forza, il reale fondamento della convivenza umana. L’idea è antica. Fu di Machiavelli, è stata aggiornata nel ventesimo secolo da Max Weber e Carl Schmitt. Il Cavaliere nel mondo occidentale, n’è l’interprete più nitido. Egli si riconosce un’eccezionale autorità personale che può illuminare soltanto chi ha, per la politica, una vocazione. Vive per essa e non di essa (così la pensava una persona cattolica praticante che conoscevo). Egli vuole realizzare il potere per realizzare, a vantaggio della comunità, la propria capacità di dare valori, significato e indirizzo alla vita secondo una “concezione del mondo” maturata con successo “in azienda” e in ogni altra “impresa” affrontata (quando decise d’annullare la concorrenza televisiva della Rusconi e della Mondadori partì come una macchina movimento terra, le rase al suolo, le inghiottì come uno tsunami).

E’ naturale, è coerente che questa volontà e questo potere carismatico abbiano voluto consolidarsi in una Costituzione. Nell’humus istituzionale di un sistema democratico pluralista e pluripartitico, il Cavaliere è a disagio. Incontra ostacoli, lungaggini, barriere, che gli fanno venire “l’orticaria”. Burocrazie, partiti, governo, Parlamento, organi di garanzia, magistrature, calcoli elettorali, lo condizionano, lo appesantiscono. Avviliscono i suoi poteri a “mediazione dei conflitti. Li riducono soltanto alla snervante direzione dell’agenda di governo.

Se questo è vero, pare un errore pensare che la nuova Costituzione sia il frutto di una congiuntura politica che ha voluto (dovuto) concedere a ognuno dei partiti di governo una bandierina da sventolare nella prossima campagna elettorale. Il Cavaliere ha bisogno di questa Costituzione per “cambiare passo”, dopo la prima stagione legislativa. Si prepara ad esercitare più concretamente la forza che rimane, nella cultura politica naif ma quanto consapevole, lo strumento essenziale per l’organizzazione della società e l’esercizio del potere politico.

E’ quel che annuncia la “Riforma dell’ordinamento della Repubblica” che frantuma il sistema costituzionale come sistema d’equilibri e di reciproche garanzie. Semplificato e irrigidito, il sistema “riformato” concentra e personalizza il potere politico. Nasce un vertice monocratico del potere, eletto plebiscitariamente. E’ dotato di strumenti che gli consentono di governare senza mediazione e di controllare la maggioranza condizionando con voti bloccati la volontà parlamentare perché dispone liberamente della “vita” della legislatura.

Come ha avuto modo di dire già due anni fa il presidente (ora emerito) della Corte Costituzionale Valerio Onida, questo scenario “non significa democrazia più immediata, ma meno democrazia”: il passo successivo non è difficile immaginarlo perché in controluce già affiora di tanto in tanto. Le categorie del “politico” che quel vertice monocratico e cesarista maneggerà, saranno “il bene” e “il male”, “l’amico” e “il nemico”, “l’uguale” e “il diverso”.

Allora, esiste davvero il rischio paventato da Romano Prodi, di una dittatura della maggioranza”? Si può discuterne, ma non si possono chiudere gli occhi. E proprio l’episodio, di cui è stato protagonista più o meno intenzionalmente il presidente del Consiglio, può assumere il valore di un esempio: una decisione sul ritiro dei nostri militari dall’Iraq, annunciata senza che nessuno ne sapesse nulla (né il Governo, né il capo dello Stato, né il parlamento, né gli alleati Bush e Blair), viene da lui anticipata in Tv, salvo essere definita, sempre da lui stesso, il giorno dopo, una “non notizia”. Il Cavaliere, si dice spesso, “è fatto così”.

La sua natura, la sua storia d’imprenditore di successo e di tycoon della Tv gli hanno costruito una concezione del potere variamente definita come “proprietaria”, o caratteristica delle Signorie rinascimentali o ancora come dice Leopoldo Elia, come una “democrazia dell’investitura” sul modello dei rapporti medievali fra Chiesa e Impero. Una volta Napoleone ha detto che in “guerra non contano gli uomini, conta l’uomo” (cioè il capo). Ma c’è uomo e uomo. Blair, appresa la “non notizia”, del Cavaliere, non è corso alla Bbc per dire la sua, ma alla Camera dei Comuni.


P.S. Prodi chiama alla lotta totale contro la riforma della Costituzione. Non possiamo, dice, rimandare al domani, all’inevitabile prova referendaria, ma dobbiamo far capire il più in fretta possibile alla gente, perché tutti sappiano che il Cavaliere e la Casa delle libertà stanno creando le premesse per una pericolosissima dittatura della maggioranza, anzi del primo ministro stesso. Dobbiamo far sì che ci sia una mobilitazione popolare come non si è mai vista da anni.

Prodi considera questa la priorità delle priorità, un’emergenza nazionale. Le istituzioni, devono essere adeguate, ma con una linea opposta a quella scelta dal Cavaliere: a un irrobustimento del ruolo del governo deve corrispondere un irrobustimento forte del Parlamento e di tutte le istituzioni di garanzia, prima fra queste il presidente della Repubblica. Tutto il contrario dell’ampliamento dei poteri del governo e del primo ministro, sostenuti dal centrodestra con umiliazione del Parlamento, emarginazione del presidente della Repubblica, forte limitazione delle istituzioni di garanzia, assoluta mancanza di garanzia di un’informazione e di un sistema televisivo liberi e pluralisti.
Prodi è sicuro che sul suo proclama, presentato ai leader dell’Unione e ai capigruppo del Senato, ci sia assoluta unanimità.
Non posso che essere soddisfatto di una tale decisione, benvenuta perché da qualche tempo da una parte dell’Unione è stata avanzata l’accusa di regime al potere berlusconiano, ma non c’era ancora un’iniziativa unitaria. Che sarà appoggiata dagli italiani democratici e dai politici onesti, quelli che sono al servizio della collettività e non di un padrone.

23/11/2005





        
  



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