Finalmente! Tre parole sul nostro libro “Grottammare e il Cuprae Fanum”, seppur avvelenate da una incontenibile ira che trasuda da tutte le lettere, sono giunte anche da un esponente ufficiale di quella “Intellighenzia maranese”, impegnata a custodire e tramandare le favole della storia cuprense, narrate dal DUC e dal Ciucci, ampliate e suggellate dall’opera del Mostardi. Una simile considerazione ci onora, in quanto tutti costoro, dall’alto del loro scanno, non si erano degnati di rispondere ad alcuno.

Se lo storico cuprense Giovanni Ciarrocchi avesse letto con più attenzione il nostro “libretto”, sicuramente avrebbe criticato il nostro lavoro con più serenità, senza dare libero sfogo alle sue angosce archeologiche, altro che dialettica culturale. Il tempio della dea Cupra, illecitamente collocato dagli autori cuprensi alla contrada Civita di Marano a partire dal 1975, in duecento anni di ricerche non è mai stato trovato in quel luogo, accreditando quindi gli studi e gli scavi ufficiali effettuati agli inizi del ’900 a San Martino di Grottammare dagli storici e dagli archeologi Gamurrini, Dall’Osso, Speranza, Rosa, Messina, Boni, Sacconi, Allevi, ecc., dove tutte le prove convergono e dimostrano qui l’ubicazione del noto santuario dei Piceni; questa è la realtà, altro che fantasie.

Nessuno vuole rubare al Ciarrocchi e ai Suoi la collocazione dell’insediamento romano di Cupra Maritima, ne tanto meno i cocci riportati alla luce, ma è bene che sappia che la Civita di Marano non è depositaria esclusiva delle strutture antiche e dei reperti, come appunto abbiamo dimostrato sulla scorta di documenti e prove nel nostro lavoro.

L’autore dell’invettiva, il quale dice di non accettare pettegolezzi e ricostruzioni fantasiose, è un “esperto di punta” della storia e dell’archeologia locale nell’illustrare con acutissima competenza la Marano medievale e la Cupra Maritima romana, dotando quest’ultima di un grandioso porto non minore ai maggiori dell’Italia romana, di un anfiteatro, di un teatro, di uno stadio, di terme, ecc.; peccato che tali ricostruzioni scaturiscano solo dalla sua geniale fantasia e dalla sua incompetenza filologica nel commentare gli antichi documenti (leggere il nostro volume alle pagg. 87-90, 94-99, 102-104).

Quanto al “chiacchiericcio di osteria” menzionato dallo storico cuprense nell’articolo, noi non lo denigreremmo più di tanto, poiché fu proprio un pettegolezzo di un avvinazzato che trasformò un garzone di bottega nello scopritore della Troia omerica.

Se gli autori cuprensi sono così sicuri della storia raccontata dal loro nume tutelare, farebbero bene ad impiegare il loro tempo nel tentativo di scrivere un “libretto” che confuti energicamente tutte le “nove Opposizioni” esposte nel nostro volume, esibendo però documenti veritieri e prove concrete, anziché bearsi delle fantasie, delle storielle e del solito “dolce dir niente”.