Sandra Petrignani e Leopoldina Pallotta della Torre hanno discusso sui 100 anni di Marguerite Duras
San Benedetto del Tronto | Per l'apertura di Piceno d'autore 2014 rivolto alla traduzions
di Alice Galasso
Pallotta della Torre e Sandra Petrignani
Questa è Marguerite Duras come ce la descrive oggi, a cento anni dalla sua nascita, Sandra Petrignani, sua grande ammiratrice, che ha avuto la fortuna di incontrarla nel clima pesante del Vietnam. Nel suo romanzo biografico "Marguerite" ne fa un ritratto "da lontano": sarebbe stato troppo rischioso inoltrarsi in quest'animo schivo per poi farsi divorare dalle sue sproporzionate pretese affettive.
Eppure solo immergendosi tra le righe dei suoi numerosi libri si è già entrati a far parte del suo mondo, un intreccio infinito di sofferenze e di dolori, una vita che ha segnato per sempre la sua scrittura tanto autentica e appassionata quanto quella di un Kafka o di un Joyce.
A 15 anni la sua iniziazione amorosa con un cinese, a 18 il trasferimento in Francia dopo la morte del padre dove studiò Diritto alla Sorbonne, poi la Resistenza, l'espulsione travagliata dal Partito Comunista, i numerosi amanti che non la soddisfacevano, la gelosia per il fratello Pierre, l'alcolismo e il coma che ne conseguì: la Duras non ebbe mai tregua eppure anche in vecchiaia non cessò il suo slancio giovanile verso la vita.
La sua sensibilità sconvolgente la predisponeva ad una grande attenzione verso il dolore, non solo personale, non solo umano, ma anche del più infimo insetto come la mosca di cui raccontò la lenta agonia con minuzia di particolari.
Da "L'amante" a "Il dolore", da "Una diga sul Pacifico" a "Moderato cantabile", Marguerite Duras fino all'età di 82 anni scrisse instancabilmente.
Ma non era solo di letteratura che si occupava: quando parliamo della Duras, citiamo anche una grande regista, seppur poco conosciuta.
Forse agli amanti del cult risuonerà familiare il titolo di "Hiroshima mon amour" (1959) di Resnais, cui soggetto e sceneggiatura furono tratti da un suo romanzo. Lungi, quindi, dal sottovalutare la sua attività cinematografica: in qualità di metteur en scène inventò un vero e proprio linguaggio.
Si tratta, dunque, di un'intellettuale a trecentosessanta gradi dalle mille sfaccettature, la cui forza comunicativa persiste tuttora anche post-mortem.
Allo stesso modo ce la presenta Leopoldina Pallotta Della Torre, ricostruendone "una foto fatta su pellicola in bianco e nero, senza trucchi", con uno stampo più precisamente giornalistico.
La sua fortuna nell'incontrarla fu infatti quella di intervistarla.
Fu un "coup de foudre" (in francese, colpo di fulmine), ma riuscì a conservare quella distanza necessaria all'obiettività del suo mestiere. Ci racconta dell'amore languido e appassionato della sua interlocutrice, invitandoci a leggere a riguardo il suo "Passione sospesa".
Insomma in occasione del suo centenario abbiamo potuto percepire una Duras viva, proprio lì, nell'aula magna della nostra scuola, mentre prima era solo un fantasma trascurato dall'esiguità dei programmi della didattica. E' una Duras che perdura nella sua scrittura e che lascia in chi la incontra segni indelebili, come solo un grande personaggio è capace di fare.
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25/05/2014
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