Mandozzi interviene sulla preoccupante situazione generale del Piceno
Ascoli Piceno | "La nostra voce è debole a Roma e debolissima ad Ancona. Il Piceno istituzionale, politico ed economico dovrebbe, con una sola voce, chiedere invece a Spacca (ma anche in Consiglio regionale) misure più concrete"
di Emidio Mandozzi*
Emidio Mandozzi
Se per superare la crisi, come ha affermato il presidente di Confindustria Ascoli Bucciarelli, bastasse saper piangere, il Piceno ne sarebbe da tempo fuori, visto che in questi anni migliaia di famiglie hanno versato (e versano) lacrime amare nel pozzo senza fine della disoccupazione e dell'inoccupazione dei propri figli.
Al di là delle metafore, Bucciarelli però si addossa parte di colpe che non ha: la crisi del Piceno - che, è bene ribadire, è iniziata prima e con maggiore virulenza di quella generale - è sicuramente figlia della debolezza e fragilità del proprio sistema industriale ed economico, ma anche e soprattutto della politica intesa in senso lato.
Tanto che, paradossalmente, i dati (gli ultimi della Cgil parlano di oltre 23 mila persone iscritte alle liste di collocamento, e sono dati in difetto rispetto alla disoccupazione vera e propria) su licenziamenti e cassa integrazione rischiano di non fare più notizia.
Mentre invece rischiano di condurre il territorio del Piceno sull'orlo del default sociale, oltre che economico ed occupazionale.
Quindi il problema non è che non sappiamo piangere, bensì il fatto che la nostra voce è debole. E' debole a Roma (dal Protocollo Val Tronto - Val Vibrata proposto a suo tempo da Bersani e lasciato al palo dal Governo Berlusconi, all'ultima bocciatura sul Piano Città), ma è debolissima (purtroppo) anche ad Ancona, con la Regione Marche più intenta a tappare le falle mettendo in campo solo palliativi che impegnata in un vero percorso di programmazione territoriale come invece ha fatto e fa con altri territori come Fabriano.
Il Piceno istituzionale, politico ed economico dovrebbe, con una sola voce, chiedere invece a Spacca (ma anche in Consiglio regionale) misure più concrete riguardo al tema, tanto da farlo diventare una priorità assoluta.
Dopodiché, se sul versante industriale ad esempio, ci fosse bisogno di un nuovo sistema di relazioni industriali e sindacali in grado di far tornare a rendere appetibile il territorio, buon senso vorrebbe che tutti gli attori istituzionali e le parti sociali s'impegnassero a rendere maggiormente flessibile lo stesso sistema, facilitando i rapporti tra chi vuole investire nel Piceno e quanti invece vorrebbero e dovrebbero godere, in termini occupazionali, di tali investimenti.
La Provincia, se avesse un presidente più attento alle problematiche ed un vero assessore al Lavoro (di fatto inesistente), potrebbe fungere da ente in grado di "mediare" sulle varie istanze, ma così purtroppo non è, e lo dico con estremo rammarico.
Vorrei ricordare, infine, la parte non certo secondaria che potrebbero ricoprire il Cup e le università che agiscono sul territorio, sul ruolo delle quali bisognerebbe innanzitutto credere per poter efficacemente puntare alla riscossa del Piceno.
Al di là delle metafore, Bucciarelli però si addossa parte di colpe che non ha: la crisi del Piceno - che, è bene ribadire, è iniziata prima e con maggiore virulenza di quella generale - è sicuramente figlia della debolezza e fragilità del proprio sistema industriale ed economico, ma anche e soprattutto della politica intesa in senso lato.
Tanto che, paradossalmente, i dati (gli ultimi della Cgil parlano di oltre 23 mila persone iscritte alle liste di collocamento, e sono dati in difetto rispetto alla disoccupazione vera e propria) su licenziamenti e cassa integrazione rischiano di non fare più notizia.
Mentre invece rischiano di condurre il territorio del Piceno sull'orlo del default sociale, oltre che economico ed occupazionale.
Quindi il problema non è che non sappiamo piangere, bensì il fatto che la nostra voce è debole. E' debole a Roma (dal Protocollo Val Tronto - Val Vibrata proposto a suo tempo da Bersani e lasciato al palo dal Governo Berlusconi, all'ultima bocciatura sul Piano Città), ma è debolissima (purtroppo) anche ad Ancona, con la Regione Marche più intenta a tappare le falle mettendo in campo solo palliativi che impegnata in un vero percorso di programmazione territoriale come invece ha fatto e fa con altri territori come Fabriano.
Il Piceno istituzionale, politico ed economico dovrebbe, con una sola voce, chiedere invece a Spacca (ma anche in Consiglio regionale) misure più concrete riguardo al tema, tanto da farlo diventare una priorità assoluta.
Dopodiché, se sul versante industriale ad esempio, ci fosse bisogno di un nuovo sistema di relazioni industriali e sindacali in grado di far tornare a rendere appetibile il territorio, buon senso vorrebbe che tutti gli attori istituzionali e le parti sociali s'impegnassero a rendere maggiormente flessibile lo stesso sistema, facilitando i rapporti tra chi vuole investire nel Piceno e quanti invece vorrebbero e dovrebbero godere, in termini occupazionali, di tali investimenti.
La Provincia, se avesse un presidente più attento alle problematiche ed un vero assessore al Lavoro (di fatto inesistente), potrebbe fungere da ente in grado di "mediare" sulle varie istanze, ma così purtroppo non è, e lo dico con estremo rammarico.
Vorrei ricordare, infine, la parte non certo secondaria che potrebbero ricoprire il Cup e le università che agiscono sul territorio, sul ruolo delle quali bisognerebbe innanzitutto credere per poter efficacemente puntare alla riscossa del Piceno.
*Capogruppo Pd
Provincia di Ascoli Piceno
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22/01/2013
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