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Scommesse via internet: presa di posizione dell'avvocatura generale dell'Unione Europea

| ASCOLI PICENO - La vicenda prende spunto dalle indagini della Guardia di Finanza di Ascoli sulle agenzie della Stanley International Betting. Il quesito sulla legittimità posto dal giudice Rita De Angelis alla Ue.

Le disposizioni che impediscono ad operatori di altri Stati membri di esercitare
scommesse sul territorio italiano rappresentano in ogni caso un ostacolo alla libera prestazione di servizi.
Lo afferma l'avvocato generale della Corte di giustizia Ue, nelle sue conclusioni generali su un caso sollevato dal Tribunale di Ascoli Piceno, riguardante una causa a carico di Piergiorgio Gambelli e oltre cento indagati che gestivano in Italia centri di trasmissione dati, collegati via Internet con un allibratore inglese, che raccoglievano in Italia scommesse su eventi sportivi.

In Italia questo genere di attività è riservata allo Stato o alle imprese titolari di una concessione.
Secondo l'avvocato generale Siegbert Alber, il cui parere non è vincolante per la Corte, l'esercizio di scommesse sul territorio italiano da parte di operatori di altri Stati membri
potrebbe essere vietato solo da «esigenze imperative». Ma nel caso in questione, l'impedimento non è giustificato ed è quindi in contrasto con la libera prestazione di servizi.

A sollevare il quesito sulle scommesse sportive via Internet raccolte in Italia da un
bookmaker inglese, ora all' esame della Corte di giustizia Ue,  era stato il giudice del Tribunale della libertà di Ascoli Piceno Rita De Angelis, in seguito ad una maxioperazione
condotta dalla Guardia di finanza della provincia che fra marzo e giugno 2001 aveva portato al sequestro in tutta Italia di 263 agenzie affiliate alla catena britannica.
 Il giudice ha posto una questione di legittimità costituzionale della legge davanti alla Consulta (che non si è ancora pronunciata) e contestualmente si era rivolta alla Corte europea chiedendo se sia giustificato limitare il libero esercizio di impresa, garantito dalla nostra Costituzione e dal Trattato europeo, anche in relazione a scommesse su eventi sportivi (o spettacoli) che non prevedono il prelievo di una quota da parte del Coni o di altri concessionari. In Italia infatti la gestione delle scommesse sui campionati di calcio e altri sport è riservata allo Stato e gestita in concessione dal Coni, dalle sue società satelliti e dall' Unire.

L' attività delle agenzie collegate al bookmaker inglese era finita nel mirino delle Fiamme gialle non per le scommesse sulle partite dei campionati esteri, del tutto lecite, ma perchè violando sistematicamente il monopolio del Coni sul campionato di calcio italiano le agenzie si  sarebbero rese responsabili del reato di truffa allo Stato (con l' aggravante, per alcune delle 222 persone indagate nel marzo di due anni fa, dell' associazione a delinquere). In sei mesi la triangolazione di scommesse fra le Marche, una società romana e il Regno Unito aveva fruttato una raccolta di circa 27 miliardi di vecchie lire solo sulle partite italiane (vietate), con utili per oltre cinque miliardi.

In una prima fase le agenzie costrette a chiudere i battenti erano state 145, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per quasi tutte le altre regioni; a giugno 2001 i sigilli erano scattati una seconda volta per 118 filiali (in parte le stesse della prima ondata, dissequestrate dopo poco tempo). Ora però l' inchiesta potrebbe sgonfiarsi, se la sentenza della Corte di giustizia europea darà ragione alla tesi dell' avvocato generale Siegbert Alber, favorevole alla libera prestazione in Italia dei servizi di operatori di altri stati membri, salvo «esigenze imperative». Posizione opposta a quella rappresentata dall' accusa, secondo la quale le disposizioni del
Trattato comunitario sulla libera prestazione dei servizi non ostano alla normativa italiana sulla riserva delle scommesse. 

13/03/2003





        
  



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