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25 - 26 Settembre ovvero i giorni del malinteso

Port Bou | Le ultime ore di Walter Benjamin, considerato oggi uno degli intellettuali più profondi e importanti del XX secolo. Una vittima della storia se ne va in una sera di 68 anni fa.

di Renato Novelli

Walter Benjamin

Una fresca sera mediterranea e settembrina più o meno intorno al 43° parallelo di latitudine Nord. Aria di mare sui fianchi scoscesi degli ultimi Pirenei prima del mare, a Port Bou, il primo paese della Catalogna spagnola al confine con la Francia. Un paese che durante l'occupazione tedesca della Francia (1940 - 1944), divenne uno dei punti di fuga degli ebrei e dei perseguitati.

C'è la stazione, costruita da Eiffel, lo stesso della Torre di Parigi. La sera del 25 Settembre 1940 arriva un gruppo di fuggitivi e, tra gli altri, un signore molto gentile - forse troppo per le circostanze - anzianotto, che dimostra più dei suoi quarantotto anni suonati. Vive in Francia dal 1933, esule, apolide. La cittadinanza tedesca gli è stata tolta nel 1939. Il gruppo ha attraversato la frontiera tra le alture scoscese e poco sorvegliate. Il signore gentile ha avuto attimi di fatica e crisi. Racconta la co-clandestina Lisa Fikto che dice di essere cardiopatico, tiene stretta al petto una borsa pesante dove "ci sono cose più importanti della mia stessa vita".

Si chiama Walter Benjamin e oggi è considerato uno degli intellettuali più profondi e importanti del XX secolo. Al posto di polizia Benjamin esibisce il visto del consolato spagnolo di Marsiglia: si tratta di un permesso di transito rilasciato, sulla base di un passaporto n. 224, dall'American Foreign Service. La polizia rifiuta di farlo passare perché è entrato illegalmente nel paese: solo poche ore prima le regole sono cambiate e il governo francese di Petain ha appena sottoscritto un accordo con Madrid per concedere agli apolidi di entrare in Spagna solo se muniti di autorizzazione di espatrio dal territorio francese.

Un modo burocratico di dire che verranno tutti consegnati alle SS. Benjamin sa, e lo ha scritto, che l'Europa è entrata in un cul de sac terribile e ha scaraventato lui in un vicolo cieco che porta diritto al campo di sterminio. Gli apolidi del gruppo sono tre: Benjamin, Hanny Gurland, una fotografa, e il figlio di sedici anni.

I gendarmi concedono la notte all'Hotel Fonda de Francia, con acqua corrente e proprietario in buoni rapporti con agenti della Gestapo colà ospitati. Benjamin scrive una lettera ad Hanny che lei impara a memoria: "In una situazione senza uscita, non ho altra scelta che quella di farla finita. La mia vita si concluderà in un piccolo paese dei Pirenei dove nessuno mi conosce. Vi prego di riferire i miei pensieri al mio amico Adorno e di spiegargli la situazione nella quale mi sono trovato. Non mi resta abbastanza tempo per scrivere tutte le lettere che avrei voluto".

La notte di quel 25 -26 e la giornata del 26 per lui, come dice la sua biografa, Tilla Rudel, "sono la notte e il giorno più lungo della vita di Benjamin". Alle 22 del 26 la Gurland chiama il medico. Benjamin aveva ingerito una dose mortale di morfina, ma l'aveva prima pregata di parlare di un malore fatale. In realtà, più che di suicidio si tratta di sottrazione della vittima. Brecht, che era suo amico, riassume nei versi iniziali di una poesia a lui dedicata, un concetto preciso:
"Ho saputo che hai alzato la mano contro te stesso, prevenendo il macellaio"

Vittima della storia se ne va in una sera di 68 anni fa, l'osservatore più lucido della storia, che l'aveva paragonata a un mucchio di macerie e ne aveva colto lo statuto teorico nell'intreccio drammatico e profondo con la dimensione esistenziale degli individui. C'è di più in quella morte. Benjamin diceva, con un' immagine, che un omino gobbo lo accompagnava per cucire nella sua giacca la beffa della sconfitta costruita dal disporsi dei fatti. Contro ogni ottimismo, ricalcando l'esperienza di vita di Franz Kafka. Due le beffe della sua morte. Il 27, gli altri apolidi passarono.

Ma come dice Hanna Harendt: "Un giorno prima Benjamin sarebbe passato, un giorno più tardi a Marsiglia si sarebbe saputo che in quel momento non era possibile ancora andare in Spagna. La catastrofe era possibile soltanto quel giorno".
Nel referto medico si legge che il corpo dello "straniero morto ieri in paese" fu sepolto e la sua borsa messa nel deposito della gendarmeria. Nessuno mai si presentò a reclamare gli effetti dello straniero. Walter era un uomo solo, ma anche i tempi erano difficili.

Molti anni dopo, quando la Signora Gurland vide per caso la foto di Benjamin in un libro, scoprì che quel signore gentile non era solo un signore gentile. Così venne fuori la storia della borsa e dell'ignoto manoscritto. Troppo tardi. Nel deposito della gendarmeria la borsa era sparita.

Magari, come scrisse Adriano Sofri molti anni fa, un gendarme buon padre di famiglia, l'aveva presa per usarla come cartella di scuola per un figlio. Buttando via, naturalmente, il plico di fogli ingialliti dal tempo. Cosa fosse quel manoscritto noi, fondamentalisti benaminiani, possiamo solo sognarlo. Chiamiamolo, come dice Derrida, con riferimento ad altro, "il sogno di Benjamin".

27/09/2008





        
  



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