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Tomba o cenotafio ?

| Pensieri sulla proposta di esumare le ossa che giacciono dietro una modesta lapide, vicino alla supposta “ Tomna di Virgilio” a Napoli, dedicata a Giacomo Leopardi.

di emme

Una cripta occultata  sotto il pavimento, scoperta per caso, ha recentemente permesso la ricognizione delle salme medicee nella omonima ,  famosissima cappella fiorentina, ove lasciò la sua impronta Michelangiolo. Ad Arquà, fu ripetutamente  ispezionata la salma del divino Francesco Petrarca che una mano ignota e maniacale privò del cranio forse un trecento anni fa. In Egitto una antichissima “ mastaba” è stata  violata dagli archeologhi, rivelando di essere stata tomba del mitico Re Scorpione, antecessore di Menes, così correggendo e integrando Manetone, il sapiente sacerdote e genealogista intervistato da Erodono.

Se il Governo Francese rifiuta la ricognizione della salma del grande Còrso, giustamente sembrando futile e imcomcludente, per vari e validi motivi, la ricerca spettrografia di arsenico o altro veleno in quel che ne resta, in compenso gli scienziati tendono la mano allo storico esaminando il cranio forato del Papa che fece “ il gran rifiuto”. Ed alla Storia qualche lume viene dall’esame dei resti del Grande Federico, stupor mundi, e di chi giace con lui nell’avello palermitano. Stessa sorte – esumazione ed esami autoptici – hanno avuto, laddove  possibile, tutti i grandi della Storia, talora con risultati tanto incontrovertibili quanto sconcertanti. Al limite estremo stanno le salme ridotte a beni di consumo, quale quella di San Luigi che, prima ancora di essere dichiarato Santo, fu bollito, ridotto ad ossa, smembrato e distribuito qua e la sotto specie di reliquie.

Non c’è nulla, nessun argomento, che renda incompatibile il culto dei resti mortali dei Grandi, nemmeno la venerazione di cui è fatto oggetto il telo della Sindone,  con la ricerca di indizi capaci di metterne a fuoco, attraverso esumazione ed esami  specialistici, aspetti fisici ed anche morali. Anzi, è un modo per rendere loro onore, perpetuarne la fama, risvegliarne il ricordo, rimuovere, quando possibile, l’onta di una qualche falsa interpretazione di ciò che furono in vita. Il lucido senso del dovere verso i fedeli, induce la Chiesa all’ostensione senza remore di salme e parti anatomiche  più o meno mummificate di santi e beati  senza che alcuno , di confessione cattolica, abbia alcunché da eccepire e tanto meno si azzardi a formulare accuse di necrofilia. Purtroppo nessuno ha da eccepire nemmeno sulla macabra, circense esposizione di salme, visitabili da un pubblico non certo composto di scienziati, nelle cripte palermitane e napoletane o nelle civiche stanze di Venzone, povere mummie pubblicizzate sui moderni, asettici Baedeker.                       

Ora si propone di  esumare le ossa che giacciono dietro una modesta lapide, vicino alla supposta “ Tomna di Virgilio”  a Napoli,  dedicata a Giacomo Leopardi,  e subito si levano voci di riprovazione ed accuse, niente di meno, che di necrofilia. .Eppure…eppure vi son mille ed una ragioni per procedere ad un esame finalmente scrupoloso di quel che nasconde  quella lapide. Ne verranno lumi, forse, sulla vera causa della morte del  nostro grande Poeta, sulle sue deformazioni ossee, sulla sua fisionomia che, non fosse per la maschera mortuaria, manca di un’equa immagine, sulla vicenda, che ha fatto versare fiumi di inchiostro, di quel che accadde veramente dopo la morte. Una grande pagina della nostra Storia letteraria potrebbe essere corretta e forse completata da quella esumazione.

Chi va a Roma e sosta reverente sotto la perfezione cosmica della grande cupola del Pantheon, se si arresta e posa lo sguardo in basso, a sinistra, vede, non senza un fremito, la modesta lapide della tomba di Raffaello Sanzio. C’è  sempre una qualche ragazza che, con decisione spavalda o commossa timidezza, posa un fiore al piede di quella lapide.  Il Pittore, il Poeta dell’immagine se volete, più grande e più amato, è  ivi fu inumato. Deve aver lasciato un’immensa “eredità d’affetti”. per ricevere dopo mezzo millennio, siffatti amorosi omaggi!. Invano si cercherebbe un analogo pellegrinaggio davanti alla lapide leopardiana che oggi è sistemata a mezza costa della rupe di Posillipo. E si che d’Amore, di Bellezza, di trionfo della giovinezza, il nostro Giacomo fu maestro, tal quale Raffaello  ed entrambi seppero parlare dritto al cuore delle eterne Fornarina e Silvia e Nerina. La ragione è che l’Uomo, di fronte alla morte , non indulge agli inganni, vuole certezze. Altro è onorare le spoglie mortali di un Grande, altro è deporre fiori su ossa inquinate dal dubbio di incerta o truffaldina appartenenza. Per dirla tutta e subito, vi sono buone ragioni per sospettare che la sorte della salma di Leopardi sia stata in tutto simile a quella dell’Immortale Wolfango Amedeo Mozart: una  fossa comune e che, dietro l’epigrafe di Posillipo, vi siano le ossa di uno sconosciuto.

Tutti conoscono qual rilievo abbiano per la comprensione della poetica e del pensiero filosofico del grande  Recanatese, le vicende personali, in buona parte connesse e motivate dal dato patologico. Non occorre indulgere al positivismo critico per capire quale impatto drammatico abbia subito il bambino, di vivace ed allegrissimo carattere, di fronte alla sequenza maturata nell’ambito familiare : prima l’inoculazione di smisurata ambizione culturale; poi 7 anni “ di studio matto e disperatissimo”; infine, meta fallita, la creazione del “perfetto letterato cristiano”. La presa di coscienza dei limiti personali e della non goduta giovinezza; l’ uso sociale delle patologie, peraltro reali, triste fardello di una stagione dei miti consumata a tavolino, sono frammento non secondario della restante vita del Poeta. E’ per questo che vogliamo sapere tutto , se possibile, della biografia fisica del nostro Giacomo.

Nessuno ignora le polemiche che accompagnarono quel Grande a cagione delle sue infermità e la ribellione a chi intendeva essere la sua Poesia frutto esclusivo della sofferenza fisica, filistea opinione del Tommaseo, quando ben altra era la conoscibile verità, acutamente colta dalla  l’analisi di un grande  critico come il Saint Beuve nell’agognata Parigi.

Di fronte a tanto, è davvero così inutile la ricognizione dei resti mortali di Leopardi, non fosse altro per render certa di fronte alla Storia la duplice deformazione della colonna vertebrale e la conseguente compressione degli  organi vitali?

Ed è così inutile e fatuo lo struggente desiderio di quanti amano Giacomo Leopardi, sapere, una volta per tutte, se dietro quella lapide ci siano o no le sue ossa?...

Negli  ultimi  sette anni di sua vita, Leopardi si legò in uno strano sodalizio con quel Ranieri, nobile, napoletano, spiantato, in fama di patriota e, non si sa perché, futuro Senatore del Regno d’Italia e precoce demente. Fu attraverso costui che amò la irraggiungibile Fanny  Targioni Tozzetti  -“ Aspasia!”- e con costui e la di lui sorella Paolina si ridusse a vivere in Napoli. ( ma quante Paoline - la sorella, quella di Ranieri, Paolina Tomassini - nella vita di Leopardi!). Nella città partenopea trascinava le sue giornate, disincantato, tollerante, indifferente alla malvagità del mondo, passeggiando per gli angiporti e facendo memorabili scorpacciate di gelato e di confetti, essendosi congedato dal mondo con il suo ultimo capolavoro, “ Il tramonto della Luna”. A Roma, dove era cominciato “ il sodalizio “ con Ranieri, gli avevano appioppato anche la nomea di omosessuale. Spiace che ancor oggi uno scrittore come  Arbasino accrediti, sul banale indizio di formule epistolari usuali a quei tempi, il rapporto amoroso con colui che, a ragione, definisce come “ L’imbecille di Napoli”, il decorativo ex bellimbusto che voleva cancellare col fuoco i Paralipomeni ( “ Libro terribile!”, secondo lui), che espunse dalla edizione degli inediti la Palinodia e che nulla fece per difendere contro la mistificazione normalizzatrice, quegli che era stato Poeta grandissimo  e filologo e filosofo di livello europeo. Persona capace il Ranieri, è stato notato, di raccontare i suoi sette anni di sodalizio con Leopardi senza avere memoria e tramandare un sol pensiero d questi

La tradizione vuole che il 14 giugno 1837, nella casa ove viveva nel miasmatico vicolo Pero, un’indigestione di confetti o di gelato, mentre fuori infuriava il ritornante  colera, portasse a morte Leopardi. Più probabilmente, una crisi di insufficienza cardiaca ( il dr Mannella, in effetti aveva diagnosticato una “idropisia” ed una “congestione” pericardica) fu  causa del decesso. Comunque sia andata, Ranieri si spaventò a morte e, in fretta e furia, si sbarazzò della salma,  giudicandola, probabilmente, infetta, non senza, prima, averne però ricavato la maschera funebre. La vicenda del trasporto e della sepoltura in Fuorigrotta, qual egli la racconta, è una incredibile storia di mance, piccole corruzioni, raccomandazioni e favoritismi

Anni dopo, gli dedicò una tomba ed una epigrafe redatta dal Giordani, che non è certo un capolavoro,  nella chiesetta periferica di San Vitale in Fuorigrotta.  Detto per inciso, mi  pare saggio il  parere di chi scrive che era meglio incidervi l’epitaffio di  Filippo Ottonieri, autobiografico vaticinio di pugno di Leopardi, concettualmente legato ad altri passi ( per tutti la morte di Rubatocchi).  Ma dove erano state fino a quel momento quelle povere ossa? – Riposarono veramente in un sepolcro ecclesiastico nella cripta della stessa chiesa, secondo il racconto postumo di Ranieri?... Una prima ricognizione della sepoltura, il 21 giugno 1900 non dette risultati soddisfacenti. Ambiguo indizio, furono trovati gettati nella bara, i resti del mitico  pastrano verdastro che Leopardi usava indossare. Per il resto, come nel caso del  Petrarca, il cranio era scomparso e le ossa, sminuzzate e frammiste ai frammenti di legno della bara, a far da lettiera ad un femore forse troppo  lungo

Il sospetto, anzi la congettura che a Napoli stiano in quel luogo di pietà non le sacre ossa del nostro massimo Poeta dei tempi moderni, ma quanto resta di un qualche poveraccio sconosciuto buttato lì a salvare la faccia di Ranieri, che le vere ossa di Leopardi le avrebbe lasciate gettar via in una fossa comune, di notte, insieme agli altri cadaveri della giornata,  come volevano le vigenti ordinanze sanitarie, è più che lecito ed a suo tempo sostenuto da P. Giovacchino Tagliatela, poi smentito da una complessa inchiesta. Ma il dubbio è restato. Appare lecito, anzi doveroso, conoscere la verità, cosa oggi possibile esaminando e comparando il DNA. Ben venga dunque la riesumazione e lo studio di quei resti forse gloriosi, forse soltanto pietosi.

18/07/2004





        
  



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