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Ciclo della seta

Offida | “Perché tanti aspetti del mondo contadino o di quello marinaro fanno parte del nostro immaginario quotidiano fino a farci sentire eredi dei loro patrimoni e invece altri elementi del passato popolare non entrano nella nostra identità?”.

di Renato Novelli

Qualche tempo fà si è svolto ad Offida un convegno promosso e organizzato Dal dipartimento di Studi Sociali della Facoltà di Economia dell’Università di Ancona, in collaborazione con il Comune della città, sull’industria della seta e dell’allevamento dei bachi nelle Marche.

L’importanza dell’area picena nell’industria serica italiana fu enorme, (la nostra zona era il centro più significativo di produzione di semi bachi, cioè degli esemplari da allevare),  ed il ciclo della seta ebbe un alto tasso di la pervasività sociale. In campagna e nei paesi il numero delle famiglie che allevavano bachi era sterminato.
 
L’unico paragone che mi viene in mente è comparare i micro allevamenti al telaio della tessitura usato per i corredi delle giovani donne fino ai primi del Novecento. Di questo mondo si è perduta ogni memoria. C’è una domanda che vorrei girare a storici ed amministratori:perché tanti aspetti del mondo contadino o di quello marinaro fanno parte del nostro immaginario quotidiano fino a farci sentire eredi dei loro patrimoni e invece altri elementi del passato popolare non entrano nella nostra identità?
 
In parte perché ciò che è la nostra identità lo decidono più i tecnici (gli storici), le mode culturali che in periferia arrivano da lontano (con gli amministratori sempre in coda). In parte perché siamo dominati dal sentimento del rimpianto per la comunità perduta, che stringe da vicino ogni passo delle modernizzazioni presenti e future. Rimangono nel silenzio proprio coloro che veramente guardano alla memoria del loro vissuto e del loro narrato.
 
La storia dei convegni ci può aiutare, ma dobbiamo essere noi cittadini non specialisti a riproporre il passato, non come nostra autopercezione, ma come anima del luogo dove viviamo: ogni centimetro del Piceno è un romanzo di immigrazione dalla campagna alla città, una composizione di incontri, una storia di centri dove la gente si è radunata, un crocicchio dove fenomeni diversi si sono incrociati. Non possiamo vivere tra non luoghi come i capannoni dei centri commerciali e i parcheggi che si sviluppano in verticale tra palazzi di uffici senza volto. La memoria può restituirci l’anima dei luoghi e una identità meno inventata. Forse questa paca e piccola attività è più importante di molte delibere di giunta.
 

19/06/2004





        
  



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