Cerca
Notizie locali
Rubriche
Servizi
giovedì 28/03/2024    |   Ultimo aggiornamento ore 18:27    |   Lavora con noi    |  

Taccuino d’Arte, Vita e Cultura Picena Mario Vespasiani e la sua “Navi degli Astri” …

Grottammare | Storie, Colori e Testimonianze del Piceno (e dal Piceno); percorrendone i sentieri, fissandone e carpendone volti, personaggi, paesaggi, momenti e memorie: di Ieri e di Oggi.

di Umberto Sgattoni

Il Senso di questo Taccuino.
Mi accingo ad intraprendere – questo ideale viaggio nel Piceno – con gli occhi, le scarpe, il cuore e le speranze di chi, ha con sé il senso del viaggio ma non quello della meta (o di una precisa destinazione); ed in tasca, soltanto il proprio taccuino; non l'ambizione – né tantomeno la certezza – che i miei Appunti di Viaggio (asistematici e sghembi, schizzi in cerca d'un foglio di carta su cui posarsi e riposarsi) possano trovare un lettore desideroso di condividere con me un tratto di cammino; se ciò accadrà, sarà al suo buon cuore ed al suo tenace passo.

Storie, Colori e Testimonianze del Piceno (e dal Piceno): quello di ieri e di oggi; percorrendone sentieri, fissandone e ritraendone volti, profili e paesaggi, cogliendone e carpendone segreti, momenti e memorie; sostando - talvolta - in ascolto di muri, case, chiese, vicoli e scorci che parlano di vite comuni ed illustri, di aneddoti memorabili o sconosciuti, di piccoli e grandi personaggi ed avvenimenti; talaltra, abbeverandomi ed attingendo l'acqua - fresca ed antica - dal pozzo della sua Memoria ed Identità più profonda.

In questo taccuino, non c'è alcuna ambizione o finalità politica, civica, programmatica o culturale – che dir si voglia – di voler "scavare le radici"; tanto più perché so - essendo per almeno un quarto, di "stirpe" contadina – che a scavar le radici (e a non saperlo fare) non si può che nuocere alla pianta e (tanto peggio) alla Comunità che si nutre, custodisce ed a cui è cara quella pianta.
Né tantomeno - queste mie modeste annotazioni - si prefiggono l'obiettivo di perseguire finalità di storico, storiografiche o da consegnar alla "Storia".
«La storia,» – ha detto la scrittrice Svetlana Aleksievic nello straordinario capolavoro che è il suo "Tempo di Seconda Mano" (che raccoglie ed accoglie un pregevole, struggente e toccante mosaico del dramma corale ed esistenziale dei reduci della "civiltà sovietica") – «la storia, è interessata solo ai fatti, e le emozioni ne restano escluse».
Io – come lei – intendo guardare «il mondo non con gli occhi dello storico ma di chi cerca anzitutto l'uomo e non finisce mai di lasciarsene stupire».
«Per me» – ebbe a dire una contadina bielorussa alla grande scrittrice – «non è tanto importante che tu scriva quello che ti ho raccontato, ma che andando via ti volti a guardare la mia casetta, e non una ma due volte».
In questo gesto semplice – in un mondo contemporaneo irrimediabilmente proteso in avanti e consacrato alla religione del progresso (in cui il voltarsi e guardare indietro sembra quasi rito sacrilego, atto patetico ed insignificante perdita di tempo) – è racchiuso il senso autentico del nostro Taccuino.
Sarà il lettore a dirci se siamo riusciti nell'intento; ed il mio scrivere, non sarà stato vano.

Il Secolo Breve, l'Arte e la burrasca del secolo nuovo: una riflessione a Cielo e Mare aperto.
Sembra ieri ed invece son passati quasi vent'anni.
Dal "Secolo Breve" – com'ebbe a definirlo lo storico britannico Eric Hobsbawm – il Novecento (sia pur breve ma terribile e tremendo), ci siamo portati dietro (e dentro) - nel secolo nuovo - un bel bagaglio di interrogativi (e contraddizioni); ed aggiungeremmo, di non poco conto e rilievo.
Viviamo un tempo – postmoderno o relativista, o in qualsivoglia modo s'intenda altrimenti definirlo – in cui l'esigenza di includere ed integrare (quasi un imprescindibile imperativo categorico teso a far incastonare i pezzi di un puzzle, ad ogni costo) pare di primaria e prioritaria importanza rispetto a qualunque altra istanza o anelito, tanto più quelli che possano concernere o attenere all'identità dell'uomo (alla sua essenza più intima ed autentica) ed al rischio di un suo annegare nel mare dell'omologazione, sia pure "ordinata" e "corretta".
Viviamo un'epoca camaleontica ed ambivalente in cui coesistono – in maniera spasmodica e confusa – l'esigenza di tutelare il diverso ed insieme - con lo stesso ed identico zelo ed in egual misura, pronto, cieco ed assoluto - quella di catalogare ogni cosa, dare un posto giusto ed una giusta collocazione ad ogni oggetto; riducendo ad oggetto - se necessario alla causa - anche la Persona (con i suoi valori, i suoi aneliti e le sue speranze, la sua identità, originalità ed unicità), affastellando tutto in una rete di insiemi e sotto insiemi, che fanno perdere di vista persino l'elementare assioma che un sistema – e la sua coerenza (non meno della sua stessa esistenza e sopravvivenza nelle relazioni ed interazioni) – dovrebbe fondarsi primariamente sui valori e non sulle strutture o dinamiche che li comprendono, contengono o coinvolgono; come se il contenitore possa fare (ed essere) il contenuto, la forma la sostanza, l'apparenza il vero, ed il meccanismo - non tanto la funzione - ma lo scopo.
Viviamo un mondo, in cui la tecnologia – pur avendo portato benessere, comodità ed innegabili vantaggi – ha portato con sé quegli effetti collaterali che spesso e volentieri distraggono (quand'anche non disgreghino e devastino) l'essenza prima dell'uomo, la sua identità e la sua integrità, diventando - perdipiù - fra le prime fonti e ragioni dell'alienazione, di dispersione e di disorientamento.
Oggi, non essere social e non essere connessi, può equivalere a non esistere (e non dico essere morti, ma non essere - ancor peggio - mai esistiti); per giunta - essere social e connessi - in cambio di un'esistenza (spesso e volentieri) artificiale ed artificiosa, dona vita ed esistenza a chi crede di non averla (o di non averla mai avuta).

Fra le tante contraddizioni consegnateci in eredità dal Secolo Breve, anche l'Arte (oseremmo dire più in senso lato la Cultura) è stata campo di battaglia che non può certo sentirsi esente od immune dall'esser stato calpestato, coinvolto e stravolto dai profondi e radicali mutamenti che hanno interessato ed inciso il XX secolo.
Cos'è l'arte (e l'opera d'arte) nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, si chiese – e si rispose – Walter Benjamin.
Cosa mai è l'Arte, dopo il Secolo Breve che ci lasciamo alle spalle; cos'è diventata, cosa – in fondo, nonostante tutto – è, è sempre stata e sempre sarà ... ?
Non di rado, regalandomi un sorriso – magari ripensando a qualche artista della domenica, guidato/a più dall'istinto esibizionista e di narciso (in cerca d'ebbrezza di celebrità, applausi ed approvazioni) che dall'espressione artistica – mi vien da pensare all'acuta ed impietosa frase di Leo Longanesi:
"L'arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati".
Altre volte ancora, la mia riflessione si posa su un'altra lucida e lapidaria considerazione di Emilio Cecchi: "L'arte, in fondo - come tante fra le cose più belle - vien meglio un po' di nascosto".
Uomini - il Longanesi ed il Cecchi - di quel Secolo Breve, in cui, anche io affondo le mie pur modeste radici.
Ricordo sempre con piacere, un aneddoto - particolarmente significativo e pregnante al riguardo - narratomi da mio padre; nel dialogare con un sacerdote – peraltro molto caro alla nostra famiglia, già missionario in Africa – circa certe astruserie dell'arte contemporanea, si sentì rispondere con candido pensiero e profonda saggezza: "Vedi, quando un uomo dall'Africa più profonda, giunge a Roma e gli si schiudono davanti agli occhi la Piazza e la Basilica di San Pietro, resta a bocca aperta ...".
Ebbene, fino ad oggi – a mia memoria ed in tutta onestà – non riesco a trovare più semplice, puntuale, pertinente ed al tempo stesso migliore, definizione di Arte.

Il Paese Alto: tra ricordi d'infanzia e balocchi del presente.
Nel tardo pomeriggio di uno dei primi giorni di luglio – di questo luglio che ultimo, di qui al prossimo decennio, ha visto a Grottammare la celebrazione della Sagra Giubilare – mi sono avventurato, su per l'impervio pendio che conduce – abbarbicato – al Vecchio Incasato di Grottammare.
Al termine della "scalata" – forse assetato ed in cerca di quei vicoli, di quelle mura e quegli scorci, che mi videro bimbo sognante al solo pensiero di un tempo passato le cui vestigia rimembravano e trasudavano ancora i fasti, le storie, la vita di paese, con i suoi personaggi e le memorie (illustri e comuni) – mi ha accolto una Piazza Peretti che non sembra mia: per carità, colorata e variopinta, con tanti tavoli ad invaderne il selciato, con il vociare indistinto di chi mangia, di chi chiacchiera e di chi vende; ma non mia.
E stento a far conciliare e riconoscere in quell'atmosfera gaia, "kitsch" e "radical chic", la Grottammare che fu di Lavinia Sernardi, di Sisto V, quella dei tanti piccoli e grandi personaggi che abitavano i racconti dei miei nonni e dei miei genitori e quella che - nel mio piccolo - ho avuto l'onore di vivere e respirare.
Vengo dal Secolo Breve, ma ho la memoria sufficientemente lunga per riconoscere che quella non era Grottammare ed il suo Paese Alto; e lo scenario che mi si palesava innanzi, era tutt'altro.
Con lo sguardo sperso di chi, colto da inattesa e improvvisa tempesta, tenta di spingerlo oltre l'orizzonte, in cerca di un appiglio e di un porto sicuro – una Grottammare che mi appartenesse davvero (ed almeno un poco) – ho cercato il mare in bonaccia, volgendo lo sguardo sotto le logge.
In quell'umbratile approdo, dove il tempo sembra fermarsi e riposarsi – lontano da atmosfere gaie e frivole ed al riparo dalla baraonda babelica di un'atmosfera sbrilluccicante da paese dei balocchi – tornavo a riappropriarmi della Grottammare della mia infanzia.

Mario Vespasiani - "Navi degli Astri"
Sembra ieri e invece son passati vent'anni.
"Vissi d'Arte, vissi d'Amore", cantava Floria Tosca; ripercorrendo questi venti anni (qualcuno potrebbe prosaicamente dire di "carriera" o di "attività artistica"), è stato così anche per l'artista Mario Vespasiani?
Anche lui - come chi vi scrive - viene dal Secolo Breve.
Nell'esile figura di Mario Vespasiani, nel suo incedere e nella sua postura c'è un che di novecentesco, come di foto d'epoca ed in bianco e nero, comunque d'altri tempi: forse i tratti fugaci d'un disegno/schizzo di Licini o di una movenza boccioniana; nel suo sguardo vivo ed acceso - come il mare di colori (e calori) che inonda le sue opere, - c'è il piglio di chi vive con i piedi saldamente ancorati sulle nuvole.
Nella mostra "Navi degli Astri" - tenutasi dal 28 giugno al 4 luglio sotto le Logge di Piazza Peretti - alcuni i fili conduttori (navigli che solcano cieli e mari di colori e calori in tempesta) – fili conduttori – di una tessitura ordita in cui il visitatore è invitato a rintracciare il senso del viaggio, il coraggio di chi naviga ed esplora, gli approdi, le soste e le mete misteriose, tra bonacce e tempeste celesti e marine; e la trama ... ? La trama altro non è che l'intreccio/confronto/racconto dell'esperienza di viaggio dell'artista - ed in essa - del visitatore medesimo.
La mostra come punto d'incontro, ci si permetta la digressione "wagneriana", come golfo mistico.
Per Massimo Bontempelli, Arte è "scoprire nella realtà certi segni e rapporti, logicamente inspiegabili, ed evocarli comunicando; così che per mezzo di quelli il mondo reale ci si presenti".
Forse – alla ricerca di un senso, tra cielo e mare – uno dei canali praticabili e navigabili di "Navi degli Astri", può esser questo.
Ci piace pensare – anche se non glielo abbiamo chiesto – che Mario Vespasiani sia d'accordo con quella affermazione di Bontempelli.
Scambiando due parole con l'artista, abbiamo riscontrato - ci si perdoni l'ardire della metafora - l'ardore del palombaro desideroso di calarsi in abissi di mistero, con la segreta e "prometeica" speranza (ed urgenza) di portarvi fuori – alla luce, e quindi al colore – brandelli di senso, da poter condividere, quale espressione comunicante e come esperienza comune e comunicativa.
Non riteniamo sia un caso, che rifugiandoci nell'antro ombroso del loggiato, abbiamo sorpreso più volte l'artista a dialogare con i visitatori della sua mostra.
Mostra, dunque, come momento di esperienza (individuale e collettiva) che tesse sentieri e storie comuni e che accomunano, suoni diversi – ma insieme – come in una sinfonia.
Ebbene, in questo nostro modesto saggio, non c'è volontà alcuna né di formulare un giudizio critico sulla mostra, né tantomeno di esprimerlo sull'arte e sulla figura stessa dell'artista Mario Vespasiani.
Abbiamo ritenuto opportuno – piuttosto – affidarci ad una sorta di "Questionario di Proust", affinché – senza filtri, artifici, infingimenti o manipolazioni – emergesse spontaneo un ritratto di Mario Vespasiani "par lui-même" ...  Mario Vespasiani, "raccontato" da Mario Vespasiani ...

 

"Questionnaire" ... Mario Vespasiani "par lui-même"

1.
Per un artista, il dilemma tra "poetica" (ciò che l'artista sente e sente di voler esprimere) e "poesia" (ciò che l'artista crea, genera ed effettivamente concreta ed esprime) è nodo cruciale - talvolta ambivalente e problematico, a volte fecondo e fruttuoso - ed al tempo stesso essenziale: tra segno e colore, tra realtà e sogno, tra intuizione e visione, tra suggestione ed incanto, tra figurazione, astrazione o concetto, che ritratto farebbe di sé stesso, con due colpi di pennello e colore, Mario Vespasiani?

Mario Vespasiani: «Caro Umberto è una bella domanda anche perchè tra tutti i ritratti realizzati fino ad ora, quello rivolto verso di me è in assoluto il meno praticato, probabilmente perchè cerco me stesso negli altri, in qualche espressione che incrocio, nelle profondità degli occhi o in certe movenze. Vado alla ricerca di ciò che più è misterioso e mi attrae come un precipizio, che sia natura, spiritualità o il genere umano nelle sue contraddizioni, sono portato ad indagare il quotidiano ma che diventa enigma, salto nel vuoto, esperienza che possa condurre alla bellezza (non patinata ma) che eleva. Credo che non ci sia distinzione tra poesia e poetica nel mio lavoro, e il mio carattere evidenzia la testimonianza diretta e autentica di ciò che dipingo».

2.
Guàrdati per un attimo indietro e porgi, poi, subito lo sguardo verso l'orizzonte; un bilancio (per così dire uno "stato dell'arte") - in poche parole ma significativi e pregnanti tratti - del cammino percorso da Mario Vespasiani artista, nonché della parabola, destinazione e viaggio che ha ancora davanti e che lo aspetta ...

Mario Vespasiani: «Un bilancio artistico ed umano senza dubbio positivo, ma con tutti i limiti e gli errori ammessi. Sai, adopero un sistema molto semplice di valutazione: la mia vita si fonda sulla gratitudine, verso il creato appena sveglio, verso le persone che mi circondano, gli antenati, il lavoro e l'immaginazione che ogni giorno alleno, non mi metto a pensare se gli altri miei colleghi, fanno meglio, di più o meno, io corro da solo, perchè ognuno di noi è chiamato a compiere il suo dovere, in un preciso posto nel mondo.
Cerco di benedire col pensiero ogni cosa, perché non c'è niente che sia scontato e definitivo, dunque ogni opera nasce da un affetto che non è in vista di una vendita o di una fama, ma come dono irrinunciabile, che sento dentro e offro
».

3.
Cosa significa per te questa mostra: quali i motivi che ti hanno spinto a mollare gli ormeggi, quale il senso del viaggio, quale l'approdo.

Mario Vespasiani: «La mostra Navi degli Astri è nata negli ultimi sei mesi, dopo quella fatta al Museo Storico dell'Aeronautica Militare, dedicata al tema del volo. Devi sapere che ogni mio tema, non è mai una documentazione giornalistica di un certo argomento, ma impiego ogni tematica ed ogni soggetto, come delle metafore per rappresentare il nostro essere, il nostro procedere.
Che siano velieri, aerei, cieli stellati, ritratti, fiori, io mi rivolgo all'alterità, al senso del sacro che alberga in noi, quale scoglio che ci impegna, ma che ci eleva da una carnalità e da una quotidianità brutali.
Si mollano gli ormeggi semplicemente perchè non appartengo solo ai miei genitori, alla mia musa Mara, ma all'intero universo e come ogni figlio, andrebbe reso libero, e non una copia o "semi dio di casa" e così, sotto questo aspetto quello che ci si rivelerà davanti sarà davvero originale e inaspettato
».

4.
Mettiti per un istante, dall'altra parte del quadro, dell'opera e della "scena": e cioè nei panni di un ipotetico visitatore della tua mostra ... un'impressione a bruciapelo ... cosa vuole dirti, comunicarti, trasmetterti, quale messaggio consegnarti Mario Vespasiani con questa sua mostra ...

Mario Vespasiani: «La mostra ha l'ambizione di collocarsi in un luogo insolito, in un punto di avvistamento incredibile, di passaggio e di un fascino antico, ma non è un museo verso il quale le persone sanno di dirigersi, qui tante ci capitano per caso, non possono immaginare di trovare un progetto simile, ma queste reazioni sono quelle che più mi affascinano, perchè non derivano da una predisposizione alla mostra, ma alla scoperta di un luogo. C'è il vero stupore che misura il talento, perchè non è più il critico (pagato) che spiega le tue opere, ma te le raccontano gli altri, perfino i bambini che si siedono a terra, esternano la loro visione, compiono il viaggio nel viaggio. E poi è una mostra di grande coraggio, che presenta i dipinti non su uno sfondo neutro, ben illuminato e in un luogo destinato alle esposizioni ma sul filo dell'orizzonte, dove il mare, il cielo si trasforma via via in un telo blu. Insomma, solo un audace può far osservare i suoi quadri sopra un quadro immenso...».

5.
In un ipotetico gioco della torre, se tu dovessi scegliere e salvare dal diluvio universale soltanto due artisti consegnati alla storia dell'arte - uno dell'arte antica e moderna e l'altro dell'arte del ‘900 o contemporanea - chi porteresti in salvo con te nell'arca?

Mario Vespasiani: «Sarebbe una scelta impossibile e ingiusta, perchè la storia dell'arte ci ha consegnato maestri la cui grandezza è ancora inarrivabile e ricca di spunti per noi e per le future generazioni.
Non potendo attuare un tradimento simile, scelgo una figura che non si è mai ritenuta artista, ma che faceva opere quotidianamente. Mio nonno Ines, uno scultore scopertosi tale dopo la pensione e che ha lavorato per trent'anni su un unico argomento: parlare della saggezza del bosco, della sapienza degli alberi, dell'intelligenza millenaria delle piante. Ha realizzato centinaia di opere da semplici pezzi di legno che trovava, cercando di tirar fuori ciò che già la forma sembrava contenere, che siano figura di uomini o di animali erano sempre al limite tra il mondo arcaico - religioso - mitologico.
Tengo dunque presente questo insegnamento: solo semplificando i segni si possono cogliere gli aspetti profondi della quotidianità, che sfuggono ad uno sguardo avido e vorace
».

6.
Se ti dico Pericle Fazzini a cosa pensi e cosa mi dici ... quello stesso vento che entra nel loggiato che ospita la tua mostra, è lo stesso che ha "inspirato" lo Scultore del Vento ...

Mario Vespasiani: «Sono in un luogo che di certo ha frequentato con piacere, che affaccia nel suo giardino, dove il mare avrà evocato anche lui quel Pericle ateniese che sull'altra sponda poteva permettersi di dialogare con Socrate e Sofocle e di avviare la costruzione del Partenone. Ho avuto modo di incontrare Fazzini quando ero molto piccolo e non ho più alcun ricordo della persona, ma nella chiesa che ho di fronte casa vi è conservata la sua Via Crucis, tuttavia l'opera dove si è superato è indubbiamente la Resurrezione esposta nella Sala Nervi, che giganteggia durante le udienze papali. In quella scultura c'è anche l'affaccio da cui stiamo parlando, ci sono quei rami intrecciati degli ulivi, gli oleandri, fino alle alghe che ondeggiano. Lui ci ha proiettato il Cristo, in una terra che esplode e da cui partono saette, io ci ho visto le Navi degli Astri, che fiammeggiano alla stessa maniera, di fronte alle quali ciascuno è chiamato ad interpretarle».

7.
Per Carmelo Bene, "classico è quel che si dà una volta per tutte"; sei d'accordo con questa sua definizione? E cos'è per te il classico, la tradizione ed il contemporaneo. Quanto c'è di ciascuno di questi tre elementi in Mario Vespasiani e nel suo modo di concepire e fare arte.

Mario Vespasiani: «Esatto. In una precedente intervista avevo fatto proprio questo riferimento al classico, con un esempio, dicendo che sta qui la differenza tra una modella ed una Musa, le prime possono essere anche più belle, contese e famose, ma le seconde rappresentano ciò che dura, la bellezza che è sempre attuale, che ci parla con la stessa forza seducente di un'alba. Al contrario le modelle viaggiano con la moda del momento, e a un certo punto impazziscono di selfie, poi di chirurgia estetica, per finire nella crisi mistica dell'ambientalismo. Le muse fioriscono nell'occhio innamorato, non riflettono sé, ma chi conoscendole ne viene rapito. Prendiamo il busto di Nefertiti, che la regina ha ispirato circa 3.000 anni fa, nonostante gli anni la sua potenza rimane immutata e i segni del tempo non li percepiamo come difetti, ma come verità e questo genera rispetto. La Musa dunque non si mette al centro dell'attenzione, lo è di per sé, non si svela, ma quando la vedi ti rendi conto, che è un passo avanti, proprio come i capolavori».

8.
"Artista impegnato": ti ci ritrovi in questa definizione e ti piace questa espressione? E se sì, in che consiste l'impegno di un artista e nella fattispecie di Mario Vespasiani?

Mario Vespasiani: «Non sono solo un artista impegnato, sono un artista politico (non politicizzato ossia mantenuto e sponsorizzato) poiché manifesto la mia idea di vita, e la mia ideologia si esprime con l'arte, focalizzando il modo in cui voglio vivere.
Anche il rispetto che hanno verso di me le altre persone, perfino quando non condividono lo stile o l'esuberanza, non fa mai mettere in dubbio l'integrità, l'impegno costante, l'amore per la mia terra. Ieri è stato il mio compleanno
(il 2 di luglio ndr)
e tra le centinaia di frasi di auguri ricevuti ti farei leggere quanti pensieri di stima li hanno accompagnati».

9.
Fermiamoci al concetto di arte contemporanea: che ne pensi ... ti senti artista contemporaneo, artista del tuo tempo oppure ... 

Mario Vespasiani: «Ogni artista è del suo tempo se sa incarnare le urgenze del vivere, il sentimento che scaturisce mentre crea in rapporto al respiro universale. A volte si può essere non capiti, anzi spesso, perchè per una sorta di slittamento formale rispetto alle elaborazioni del pensiero. Sappiamo che in ogni epoca sono vissuti artisti che hanno rappresentato diversi aspetti della quotidianità, anche in netto contrasto tra di loro, penso alla Parigi anni '30 di Picasso, Modigliani e Dalì, gli anni folli in cui potevano coesistere esperienze contingenti ed artistiche estreme. Tuttavia oggi questo dinamismo, specie in Italia si è assopito, di fronte al potere di chi decide cosa far esporre in determinati circuiti, si è giunti al risultato di un'arte che annoia, che scimmiotta le tendenze internazionali, che fa appello a provocazioni e derive concettuali. Insomma, si sta perdendo il sacrum facere, l'abnegazione al lavoro manuale, allo studio e alla ricerca della sapienza come crescita personale. La definizione al mio essere "un uomo d'arte" invece, vorrei sentirmela dire dagli altri...».

10.
Il legame con le tue radici, con la tua cittadina - Ripatransone - e con il Territorio ... e quanto - ritieni - si ritrovi di ciò, nella tua espressione e nel tuo bagaglio artistici, nella tua weltanschaaung e visione d'artista ...

Mario Vespasiani: «Alcuni di noi, quando tornano a casa, non aprono la porta ma attraversano strade, musei, boschi, chiese, vicoli, sono i luoghi dove provengono i miei colori, le contraddizioni e i contrasti. La mia casa è dunque uno stato mentale che mi spinge ad essere tutt'uno con quello che qui mi circonda, io sono nel balzo delle rondini che spiccano il volo dai nostri balconi e perfino negli occhi dei venditori ambulanti che si fermano nel mio studio con i loro oggetti, ma non a vendere qualcosa bensì ad osservare e a farmi notare ciò che nemmeno io avevo colto in certi quadri. La porta dello studio è sempre aperta, come in un invito allo scambio e all'incontro: ritengo che solo con l'educazione e la cultura si possa costruire la civiltà dei giusti, perchè ciò che ognuno di noi vede, non è solo ciò che ci appare, ma ciò che siamo...».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

14/07/2018





        
  



5+4=

Altri articoli di...

San Benedetto

12/10/2022
Studenti omaggiano il Milite Ignoto (segue)
10/06/2020
Samb: Serafino è il nuovo presidente! (segue)
27/01/2020
Istituto Professionale di Cupra Marittima: innovazione a tutto campo. (segue)
25/01/2020
Open Day a Cupra Marittima, al via il nuovo corso Web Community – Web Marketing (segue)
19/01/2020
GROTTAMMARE - ANCONITANA 1 - 3 (segue)
13/01/2020
SAN MARCO LORESE - GROTTAMMARE 1 - 0 (segue)
10/01/2020
UGL Medici:"Riteniamo che gli infermieri e i medici debbano essere retribuiti dalla ASUR5" (segue)
10/01/2020
Premiato il cortometraggio intitolato "Sogni di Rinascita- Sibillini nel cuore" (segue)

Cultura e Spettacolo

31/10/2022
Il Belvedere dedicato a Don Giuseppe Caselli (segue)
27/10/2022
TEDxFermo sorprende a FermHamente (segue)
27/10/2022
53 anni di Macerata Jazz (segue)
26/10/2022
Il recupero della memoria collettiva (segue)
26/10/2022
Giostra della Quintana di Ascoli Piceno (segue)
23/10/2022
A RisorgiMarche il Premio "Cultura in Verde" (segue)
22/10/2022
Porto San Giorgio torna a gareggiare al Palio dei Comuni (segue)
20/10/2022
La Nuova Barberia Carloni apre un tris di spettacoli (segue)

Quando il giornalismo diventa ClickBaiting

Quanto è sottile la linea che divide informazione e disinformazione?

Kevin Gjergji