Le otto montagne di Paolo Cognetti
San Benedetto del Tronto | Recensione del libro vincitore del Premio Strega 2017 a cura di Olga Merli
di Olga Merli
Paolo Cognetti
Il respiro della montagna si fonde generosamente con quello dei personaggi del libro. Un respiro gelido nei lunghi e insidiosi inverni che rende lucide e sfuggenti le superfici dei laghi in alta quota, dove i pensieri possono flettersi in un incauto diluirsi introspettivo, nei silenzi vestiti di bianco dove la neve attutisce i conflitti e ammanta, con la sua coltre ovattata, sentieri obbligati di collosi vincoli e solide radici.
Tra le pagine del libro, le spire simmetriche dell'asciutta costruzione narrativa, fasciano le percezioni del lettore, come i fianchi della montagna, dove, seguendo il ritmo placido e indispensabile dei tornanti, la strada ghiaiosa si inerpica, superstite nella solitaria urgenza di condurre fino al limitato esigere della razionalità oppure oltre, dove la ghiaia si trasforma in una stilla argentea di ruscello, il cui divenire è tracciato dall'immutabilità di certi ricordi che non svaniscono ma levigano, come acqua nella roccia, gli spigoli e le rinnovate necessità dell'esistere.
La montagna diffonde anche l'alito di vita che configura l'equilibrio dell'assenza nell' alternanza metaforica tra istinto e razionalità, fuga e ritorno, rifugio nell' alterità e chiusura introiettiva. Un respiro che non viene raccontato ma trasmesso poiché è un'eredità naturale come l' esigenza interiorizzata del protagonista di rivivere quei luoghi, nell' antitesi scontata dell' evasione verso il perimetro rassicurante della città, tra le simmetrie assordanti dei palazzi che popolano un asettico spiraglio di periferia, sottraendosi al fascino introverso della montagna che resta in attesa, metabolizzato dalla ricerca di altre vorticose altezze sulle quali misurare il peso della propria inadeguatezza, delle proprie certezze.
Le montagne rappresentano anche l'humus incontaminato dove avviene la redenzione emozionale dei personaggi e la genesi essenziale del loro background esistenziale. Esse rivelano un'anima che spesso si sovrappone a quella delle presenze che popolano le pagine del libro, in equilibrio tra due personalità complementari (Pietro e Bruno) che condividono le stesse radici e, allo stesso tempo, evitano di confrontarsi con esse fino alla fine.
Un mondo dai confini illimitati, quasi mitici, e contemporaneamente vittima noncurante della modernità alla quale cede il passo senza troppi rimpianti. Un libro dove i silenzi e le assenze si dipanano attraverso il filo incessante della memoria che non racconta ma trasmette, dove la fluida consistenza dell'inquietudine scava percorsi ingannevoli nel candore della neve e l'arido stelo del disincanto infesta le praterie verdeggianti dei pascoli di alta quota.
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18/07/2017
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