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My Generation

San Benedetto del Tronto | Un'occhiata ai tanto discussi tennisti nati nei primi anni '90

di Lorenzo Picardi

Raonic e Dimitrov

  Ricerca della propria identità per distaccarsi dal passato, tentativo di ribellione alle generazioni precedenti: ecco alcuni dei messaggi che trasmisero gli Who quando nel 1965 pubblicarono "My Generation", probabilmente il loro brano più famoso. Per puro caso questo monumento della musica moderna ha fatto da sottofondo ad uno di quei momenti in cui mi collego su YouTube ed inizio a cercare gli highights delle più recenti partite di tennis che non sono riuscito a vedere.

Ad un certo punto della mia carrellata è stata direttamente la colonna sonora a pormi una domanda: "ma della tua generazione, nel tennis, cosa possiamo dire?" La domanda non arrivava senza che me la fossi mai posta, perché quando dei tuoi coetanei iniziano ad affacciarsi sulla scena mondiale (chi scrive è uno della classe '92) si realizza sempre quel mix di confronto ed immedesimazione che lascia ammirati o invidiosi a seconda dell'indole e dell'acume del singolo individuo. Fino ad oggi, però, mi era sempre sembrato troppo presto per tracciare un bilancio: "siamo giovani, c'è tempo", mi sono sempre detto. Visto però che l'argomento è stato frequentemente affrontato dagli addetti ai lavori in questo 2015, questa volta il quesito non è rimasto inascoltato.

  Innanzitutto potrei rispondere all'interrogativo premettendo che, proprio come gli Who lamentavano scarsa fiducia nei confronti della loro generazione, così posso fare io per la mia in campo tennistico: estremamente malvista, le è già stato affibbiato il nome di "generazione di mezzo" per evidenziare un arido periodo di transizione fra l'attuale generazione di fenomeni (Djokovic e Nadal) e quella futura, ritenuta estremamente florida (Coric e Zverev, per dirne due molto quotati fra gli esperti). Insomma, un'operazione simile a quella che frettolosamente gli storici fecero col Medioevo, salvo aggiustare il tiro successivamente. Questo perché la mia generazione non ha ancora portato a casa un torneo di quelli che conta, ossia uno Slam.

  Eppure c'è stato un momento preciso nel quale il cambio di guardia sembrava prossimo: quel momento è stato Wimbledon 2014. Il torneo in questione infatti propose due novità in semifinale, a fronte delle consuetudini Federer e Djokovic: il bombardiere Milos Raonic ('90) e il talentuoso Grigor Dimitrov ('91). Per quanto quelle due semifinali evidenziarono ancora un certo margine fra consuetudini e novità, allo stesso tempo lanciarono un monito: da oggi anche le nuove leve possono affacciarsi alle fasi finali degli Slam. E questa tendenza sembrò confermata dal successivo US Open, nel quale un inarrestabile Cilic ('88) ebbe la meglio su un ottimo Nishikori ('89 nato il 29 dicembre).

  Il 2015 invece, complice la tirannia imposta da Djokovic, non ha offerto nessuna novità rispetto al copione degli ultimi anni, se non la prima stagione di Nadal senza vincere uno Slam dal 2004. Raonic sta trovando più difficoltà del previsto a superare i suoi limiti di mobilità e di consistenza del rovescio, mentre Dimitrov si è confermato una strabiliante macchina da highlights senza però una propria identità tattica, cosa che gli ha fatto perdere certezze e posizioni in classifica (ma a quanto pare non le preferenze delle colleghe). Nishikori è schiavo dei suoi frequenti infortuni; sembra un maggiolino al quale hanno montato il motore di una Ferrari ed inevitabilmente ogni tanto perde dei pezzi.

Thiem è indicato come il nuovo Wawrinka, quindi consiglierei di tenere a mente che Stan ha dovuto aspettare di vedere 28 candeline sulla propria torta per portare a casa il primo Slam. In risalita sono apparsi invece Tomic ('92), il più promettente insieme a Dimitrov, che sembra stia iniziando a capire adesso come entrare in un campo da tennis e non solo in un night, e Goffin ('90), che però pare stia ottendo il massimo con i mezzi fisici che ha a disposizione; non comunque poco.

  Questa etichetta di "difettosa" affibbiata alla mia generazione sembra essere stata apposta con troppa fretta. Anzitutto terrei conto dell'innalzamento dell'età media nel tennis, dovuta alla maggior richiesta che il gioco fa di fisicità ed anche tattica, due qualità che è difficile affinare pienamente anche a 23-24 anni. Poi anche per contingenze che verranno, quali i naturali cali degli attuali padroni del ranking, mi sembra improbabile che nessuno dei giocatori nati nella prima metà degli anni '90 non riesca a conquistare uno Slam.

  Valutando però anche l'ipotesi che ciò non si verifichi, allo stesso modo la mia generazione potrebbe essere ricordata come qualcosa di meglio di una semplice "generazione di mezzo": chissà che Raonic non fissi un nuovo record di velocità alla battuta, chissà che Dimitrov non divenga oggetto di culto presso i nerd del tennis che tanto amano i talenti incompiuti come lo sono stati Leconte o Nalbandian, sicuramente più amati di alcuni giocatori vincitori di Slam. Tomic magari un giorno avrà la sua versione delle Safinettes, le tifose all'angolo di Safin nella sciagurata finale persa dal russo agli Australian Open del 2000 contro Johansson, le quali ai tempi fecero molta pubblicità al tennis, anche di più delle doti tennistiche del campione stesso. E proprio Johansson potrebbe essere il miglior esempio di giocatore la cui vittoria in uno Slam non ha portato gloria e popolarità ma solo la ricorrente etichetta di "peggior vincitore di uno Slam"; persino Google si dimentica di lui, preferendo ricordare altri più celebri omonimi, in primis la divina Scarlett.

  Perciò la mia generazione potrà anche risultare non vincente, ma sicuramente lascerà dei motivi di interesse sui quali si dibatterà comunque. Anche perché la storia è scritta dai vincitori, ma non si è mai dimenticata di quanto siano necessari i perdenti, tante volte narrativamente più interessanti di coloro che li hanno sconfitti.

29/11/2015





        
  



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