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Un miliardo d’amore

Ascoli Piceno | La storia di Cristiano Lucarelli che ha comprato la maglia del Livorno per un miliardo.

di Federica Poli

Qualche volta la vita ti riserva sorprese che nemmeno immagini. Io che nel calcio non riponevo più speranze devo ricredermi.
 
Sabato la meraviglia si è stampata sul mio volto quando incredula ho letto, o meglio divorato in  un giorno, il libro “Tenetevi il miliardo” edito da Baldini e Castoldi di Carlo Pallavicino procuratore di Cristiano Lucarelli, giocatore del Torino, che, l’anno passato, ha condotto lancia in resta il suo Livorno alla conquista della serie A.
 
55 anni dopo, la città toscana unica nel territorio nostrano per tradizioni, storia e abitanti tocca con mano l’Olimpo del calcio italiano e, questo,  grazie ad un manipolo di sprovveduti (mica tanto) di nome Vigiani, Doga, Chiellini, Melara, Ruotolo, Cannarsa e udite udite Igor Protti e Cristiano Lucarelli. Sì perché gli amaranto all’inizio della stagione scorsa avevano di fronte due attaccanti di razza come Re Igor e il Principe Cristiano l’uno in procinto di lasciare il calcio anzi, convintissimo di farlo, e l’altro di proprietà del Torino e con tanta voglia di giocare nella squadra della propria città.
 
Questo libro non può che farci innamorare di quell’omone col numero 99 stampato dietro la maglia che ha rinunciato a un miliardo delle vecchie lire pur di vestire l’amaranto. Non può che farci innamorare dei  suoi concittadini che lasciano un solco nel cuore dell’ignaro lettore.
Tra Livorno ed Ascoli non corre buon sangue per motivi di appartenenza politica delle tifoserie, di destra quella nostrana e di sinistra la labronica.
 
Eppure la storia di Cristiano entra dritta nel cuore di chiunque possa udirne le gesta. Sì, di gesta mi sento di parlare perché ho letto di un uomo di quelli che difficilmente si incontrano.
Una persona con degli ideali e con un sogno. Giocare nella squadra della propria città, segnare un gol sotto la curva dove gli amici di sempre intonano cori e correre verso la gradinata dove papà Maurizio “il bimbone” sorride sornione. Uno di quegli uomini che “azzardano il volo”.
 
Sono entrata in un mondo che mi era sconosciuto. Livorno, fino a qualche tempo fa non potevo neppure collocarla geograficamente. Sapevo che era in Toscana e questo mi bastava.
Ora il livornese mi ha conquistato.
 
E non parlo del Lucarelli giocatore, parlo di una città  che “prova solo a osservare Livorno, possibilmente dall’alto quando atterri a Pisa o dalla collina di Montenero. Ti accorgerai quanto sia accogliente, di come sembri fatta per ricevere, piuttosto che per andarsene”. Ho imparato un “poino” della storia di questo porto sorto perché quello di Pisa si era insabbiato.
 
Nasce circa cinquecento anni fa e quindi rispetto alla mia Ascoli è davvero tanto diversa. Fu popolata dalla legge Livornina del XVII secolo che appunto facilitò l’arrivo di “ex galeotti, falsari, puttane ma anche molte vittime illustri della controriforma – intellettuali, artigiani, scienziati ”. Forse è questo il segreto della sua estrema capacità ad accogliere.
 
Ma torniamo a Cristiano. Beh, più che un giocatore sembra un cavaliere d’antica forgia.
Un miliardo? “Ma che m’importa se posso giocare nella mia città”.
 
Nel libro, il suo procuratore, si cimenta nel minuzioso racconto di una trattativa, quella tra Livorno e Torino condotta dal giocatore che armato del solo amore per la sua terra ha voluto vestire la sua maglia amaranto. Traspare tutta l’irruenza di un bambino che vuole a tutti i costi il giocattolo nuovo, scalpita, piange, frigna finchè il genitore stremato non entra nel negozio e compra l’ambito divertimento. Per Cristiano è diverso, perché non si stancherà e lo lascerà lì a giacere insieme a mille altri, il suo gioco si chiama Livorno e se lo cucirà addosso come il tatuaggio che ha fatto dopo la partita con la Fiorentina. Eh sì, il simbolo della sua gente, lì su un braccio, a far vedere a tutti che nulla potrà scalfire un sentimento che da ventotto anni porta con sé.
 
Pallavicino ci conduce per mano  nel Livorno di patron Spinelli, nella Livorno del Budiulo, nella Livorno del bagni tutto l’anno, della Baracchina Rossa. Ci porta all’interno di una realtà che a volte stento a comprendere, tanto è diversa dalla mia. Perché a Livorno “signori un ce n’è” a Livorno si è tutti uguali. A Livorno guai a far soldi, a diventare un “vadrinaio”. Livorno vive e si nutre di sé.
 
I livornesi gente schietta, non hanno bisogno di ambizioni perché la città fagocita tutti i sogni, nel senso buono, i livornesi vivono per essere tali. Cristiano ne è l’esempio.
 
Nel libro si racconta la storia di un Lucarelli piccolino che aspettava “Novantesimo minuto” solo per sentire Valenti leggere la schedina se il suo Livorno era nella tredici prescelte. Beh, credetemi l’ho fatto anch’io. Anch’io da bimba aspettavo che l’indimenticato Paolo leggesse Ascoli-blablabla per  sentirmi importante. Ma io in fondo più di Cristiano  ho gioito e, ahimè, ho patito in serie A.
 
Mi vien da pensare a quel bimbo toscano che non ha mai visto il vessillo della sua squadra sventolare a San Siro o all’Olimpico.  Da sanguigna, sento come se fosse mia la voglia di riscatto che può aver armato il Lucarelli livornese quello che “se lo chiama Peres, il presidente del Real Madrid, è capace di rispondergli: “Dè Florentino, se mi vuoi fai prima a comprare il Livorno” a riportare la sua squadra tra le grandi.
 
Dalla lettura trapela anche un Cristiano innamorato della sua Susy e dei suoi figli.  
E Cristiano ce l’ha fatta, ha tirato il “su” Livorno per un orecchio e l’ha portato fin  dove nessuno osava anche solo immaginare. Dopo ben 11 lustri, un uomo, un livornese ha concesso la speranza ai suoi concittadini. Ha regalato un sogno a sé e ai suoi amici.
 
 E nulla importa se questo gesto d’amore gli è costato un miliardo. Un solo, misero, miliardo.

22/07/2004





        
  



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